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Addio Pd: Letta, clamoroso piano segreto: nuovo partito. Choc: quanto vale nei sondaggi

Elisa Calessi
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Manca quasi un anno, ma al Nazareno girano già le proiezioni delle elezioni politiche del 2023. Quanti collegi andranno al centrosinistra, quanti al centrodestra, i seggi ottenuti con il proporzionale. E le previsioni non sono buone. Nel senso che al Nord, ma anche al Sud, il centrodestra è avanti dovunque. La situazione più nera, per il Pd, è al Nord, dove il M5S è praticamente inesistente e il Pd, storicamente, non è mai andato benissimo, tranne rare eccezioni, come Milano e Padova. La Lega, al Nord, è ancora forte e Fratelli d'Italia sta riuscendo a sfondare persino qui, trainata dall'attenzione di piccoli e medi imprenditori che guardano con sempre maggiore interesse al partito di Giorgia Meloni. Oltretutto il Nord pesa elettoralmente di più del Centro e del Sud, essendo molto più popoloso. E va male anche al Sud, perché quello che, nel 2018, fu il granaio di voti del Movimento Cinquestelle ora si è spostato sul centrodestra, in particolare su Fratelli d'Italia.

 

 

TENDENZA
Morale, la diarchia Pd-M5S non esiste più, sostituita da uno schema che somiglia più a Biancaneve (Pd) e i sette nani (tutti gli altri partiti, M5S compreso). Una situazione che rischia, questo è il ragionamento che si fa tra i dem, di pregiudicare la vittoria alle elezioni del 2023 e togliere Palazzo Chigi a Letta (che ci spera). Il centrodestra unito, infatti, veleggia ben oltre il 45%. Mentre il centrosinistra, anche con un Pd in ottima salute, non può da solo competere con la triade FdI-Lega- Fi, a cui si aggiungeranno le sigle di centro. Cosa fare, allora? Cambiare la legge elettorale, non si riesce. Bisogna trovare il modo di inventarsi qualcosa, se no, come dice un dirigente dem, «Giorgia Meloni va diritta a Palazzo Chigi». Servirebbe, hanno suggerito alcuni dem esperti di sondaggi al segretario Enrico Letta, una novità: mettere in campo qualcosa di inedito per dare un valore aggiunto al marchio Pd, che oltre queste percentuali non va. È a questo punto dei ragionamenti che, da un po' di settimane, si è riaffacciata una vecchia idea, fino a questo momento messa da parte.

 

 

Quella, cioè, di dare vita a un nuovo contenitore, ovviamente con un nuovo nome. «Come fece Romano Prodi con l'Ulivo», spiega un dem. Anche allora l'alleanza dei progressisti partiva svantaggiata. Sulla carta valeva meno. Ma l'idea dell'Ulivo - lanciare un nuovo soggetto, con un nuovo nome, per quanto riunisse partiti esistenti -fece fare il salto. Enrico Letta lo sa bene. Visse quella stagione, ne fu uno dei giovanissimi ed emergenti protagonisti. «Servirebbe la stessa cosa, un Ulivo 2.0. Solo così potresti fermare il centrodestra», si spiega ancora tra i dem. Basterebbe lanciare una federazione, un'alleanza, una casa che riunisca i partiti del cosidetto campo largo, ma con un nome comune, una identità. Insomma, un nuovo contenitore. «Progressisti», «Alleanza dei riformisti». Una "Cosa 2", per dirla con chi ha una memoria lunga. «La sola presenza di un nuovo nome, di un nuovo contenitore, potrebbe portare 2 o 3 punti percentuali. E fare la differenza», spiega un dem, esperto di analisi e di flussi elettorali.

RIFLESSIONE
Peraltro è quello che, da mesi, gli chiedono Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e tutta la sinistra di Articolo 1. Paradossalmente su questo c'è una consonanza tra ali opposte. Perché anche tra i riformisti del Pd da tempo si chiede una riflessione in questo senso. Il problema del cambio di nome era stato posto, qualche anno fa, proprio dalla corrente di Base riformista. Poi non se ne fece nulla. Ma ora che la scadenza elettorale si avvicina è tornato in primo piano nelle conversazioni più riservate. Letta ha presente il problema. E non ha escluso nulla. Il testa a testa con Fratelli d'Italia è confermato in ogni sondaggio. Con la differenza che attorno a Fratelli d'Italia ci sono Lega e Forza Italia che, bene o male, hanno una consistenza elettorale. Mentre con il Partito democratico ci sono un M5S in tracollo e partiti che faticano ad arrivare al 2%. «Bisogna inventarsi qualcosa», si ripete tra i dem. La clessidra, intanto, scorre. L'ultima chiamata è dopo l'estate.

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