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Centrodestra, l'harakiri: ecco perché mentre litiga la sinistra gli ruba il centro

 Giorgia Meloni e Matteo Salvini

Alessandro Giuli
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Se è vero che sta tornando il bipolarismo, se è vero che due partiti a vocazione maggioritaria - Partito democratico e Fratelli d'Italia - sono in procinto di ristabilire le regole della democrazia dell'alternanza fra coalizioni rivali, ne consegue che la destra ha bisogno di un centro. Perché in un regime bipolare, che per definizione è inclusivo e moderatore delle ali estreme, quando a sfidarsi sono appunto due Poli compositi e non due partiti unici, è in quel non-luogo di moderazione che si conquista la partita.

 


Il caso di Verona, dove il sindaco uscente Federico Sboarina (FdI+Lega) rifiuta l’apporto di Flavio Tosi (FI) al ballottaggio, può anche rappresentare un caso isolato e irripetibile. E tuttavia è un fatto innegabile che la ricomposizione in atto del paesaggio politico nazionale interpella tutto il centrodestra sul da farsi. Non basta la
semplice constatazione – su cuifa affidamento Sboarina – che l’elettorato liberal-conservatore è assai più compatto dei partiti che dovrebbero rappresentarlo, poiché al dunque l’offerta sul mercato elettorale italiano richiede idee, progetti e personalità credibili. Né si può ragionevolmente obiettare che Forza Italia possa bastarea sé stessa per configurare quel punto di equilibrio necessario, risultando ormai la sua leadership più “emerita” che carismatica ed essendo i suoi dirigenti attratti come limatura di ferro da magneti opposti: il fronte conservatore/sovranista da una parte e dall’altra il rinascente laboratorio di una nebulosa neocentrista, su cui è l’avversario principale che si sta muovendo con largo anticipo. Veniamo così al punto. Con tutte le incertezze del caso, quale che sia il sistema elettorale vigente, il Pd di Enrico Letta continuaa detenere unamassa critica di consensi destinati a incrociare lungo la via un blocco “di sistema” di conio riformista e devoto, più che a Mario Draghi in quanto tale, a uno schema di potere fondato sulla saldatura tra ideologia progressista e competenze tecnocratiche,movimenti nuovi di stampo laico (Azione di Carlo Calenda,il misterioso soggetto radical-ambientalista di Giuseppe Sala), prodotti cangianti di sartoria su misura come Italia Viva di Matteo Renzi più varie escrescenze post-democristiane non soltanto clericali. Al che si aggiunge l’incognita dell’ala ministeriale del MovimentoCinque Stelle, capitanata da Luigi Di Maio, e della delegazione berlusconiana a Palazzo Chigi. Nell’insieme, stiamo parlando d’una galassia di piccoli pianeti in formazione che non ha ancora trovato il proprio Sole intorno al quale orbitare, ma che certamente non andrà a cercarselo a destra.

 

 

È da questa constatazione che deve partire un ragionamento strategico. A meno di pensare che per l’anno prossimo Giorgia Meloni vada incontro a un exploit paragonabile a quello grillino del 2018, ciò che le varrebbe di diritto l’incarico di formare un suo governo e al tempo stesso il dovere di offrire una classe dirigente prontaalla bisognae tale da rassicurare l’Europa e i mercati internazionali, il centrodestra rischia di presentarsi all’appuntamento sfibrato dalla concorrenza interna e – complice l’implacabile mega macchina dell’informazione mainstream antipatizzante già all’opera – schiacciato su parole d’ordine che ricalcano uno schema desueto e perdente, che potremmo definire “trumpiano”: popolo contro élite, anti-sistema contro sistema, viscere tonitruanti con venature sanfediste contro cervelli raffinatie sorretti dalla consuetudine del deep state con l’arte del comando in ogni sua articolazione. In tali condizioni il risorgente centro, ma sarebbe forse più esatto definirlo come una “area mediana” dell’arco parlamentare che non si esaurisce nella canonica rappresentanza del cattolicesimo social-popolare, si porrà sempre al servizio del Pd e come sempre finirà per temperarne le ancestrali tentazioni collettiviste e nobilitarne l’accesso al cuore dell’establishment globale. In poche parole: s’intravede all’orizzonte il profilo di un Ulivo 2.0, assai più temibile della tarda e sgangherata Unione prodiana, del quale il Polo antagonista deve prendere immediatamente le misure opponendogli una rete di relazioni, un complesso di valori e se possibile un rassemblement rinnovato stanziato a debita distanza dalle utopie regressive altermondiste,illiberali e fanatizzate, che nulla hanno da spartire conl’ideale d’una destra avanzata, costituzionale,inclusiva ed eurocentrica.

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