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Mario Draghi, dimissioni immediate? Pronto a salire al Colle: l'ora X

 Mario Draghi

Fausto Carioti
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Più di questo non farà. Se basta, bene. Se non basta, domani salirà al Colle per dimettersi. Senza possibilità di dar vita a un "Draghi bis", ha ripetuto ieri, ma su questa ipotesi né lui né i partiti hanno ancora fatto i conti con Sergio Mattarella. Di sicuro, Mario Draghi è convinto di avere messo in campo il massimo sforzo possibile. Non solo nei confronti degli italiani alle prese col carovita, ma anche di Giuseppe Conte e dei senatori del M5S, chiamati a votare il decreto Aiuti, sul quale il premier ha posto la fiducia. Sforzandosi di apparire ciò che non è, ossia un politico accomodante, Draghi ieri ha assicurato di aver trovato nel documento che Conte gli ha consegnato una settimana fa, quello con le nove condizioni poste dai Cinque Stelle, «molti punti di convergenza con l'agenda del governo. L'incontro e i temi discussi con i sindacati vanno esattamente in quella direzione».

Sembra un gesto distensivo, ma è qualcosa di più complesso. È anche la mossa per isolare Conte nel caso in cui se ne vada davvero: ma come, il governo annuncia un grande «patto sociale» per accogliere molte delle vostre richieste, incluso il salario minimo, i sindacati accettano di sedersi al tavolo e voi grillini vi alzate e ve ne andate? Una strategia della pressione condivisa da Enrico Letta, che ieri ha incontrato Draghi e ha parlato con Conte, e ha detto ai suoi di essere convinto che l'«agenda sociale» preparata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, alla fine avrebbe convinto gli alleati.

 

 

«IL NULLA RELATIVO» - Sino a ieri sera l'opera di convincimento non aveva dato risultati. Tra i senatori del movimento l'atteggiamento prevalente è quello di Alberto Airola: «Le risposte di Draghi non possono che essere il nulla o un nulla relativo, altrimenti ce le avrebbe date molto tempo fa». La loro intenzione sarebbe quella di astenersi, anche se non è esclusa l'ennesima spaccatura, con alcuni presenti in aula e magari disposti a votare la fiducia, nella speranza di evitare la rottura finale con Draghi, e altri assenti, per mostrare agli elettori che lo strappo dal governo è avviato. Ne discuteranno sino all'ultimo.

Una soluzione pasticciata, però, non accontenterà Draghi. Visibilmente stufo del tira e molla con i partiti (M5S e Lega in cima alla lista), ieri ha avvisato tutti che «con gli ultimatum non si lavora. Se si ha la sensazione che è una sofferenza straordinaria stare in questo governo, bisogna essere chiari». Ancora più schietto era stato nel faccia a faccia con Mattarella, al quale aveva detto che «se i Cinque Stelle non mi danno la fiducia, io non mi ripresento davanti alle Camere».

Perché domani potremmo assistere a una scena in apparenza paradossale. Prima, il governo ottiene la fiducia con un ampio margine, intorno ai 223 senatori su un totale di 321, giacché la defezione di ciò che resta dei Cinque Stelle non basta certo a mettere in minoranza l'esecutivo. E subito dopo il presidente del consiglio sale al Quirinale e si dimette, mantenendo il proposito ribadito anche ieri: «Per me non c'è un governo senza M5S e non c'è un altro governo Draghi».

 

 

A quel punto Mattarella potrebbe rispedirlo davanti alle Camere. «Chiedetelo al presidente della repubblica», ha risposto ieri il premier a chi sollevava l'ipotesi. In sostanza si farebbe lì, in parlamento, la «verifica» chiesta da Silvio Berlusconi, e si capirebbe se l'esecutivo ha i numeri per andare avanti. Ma la determinazione di Draghi a dichiarare chiusa questa esperienza di governo se i Cinque Stelle escono dalla maggioranza appare inscalfibile.

UN SUCCESSORE SU TUTTI - Comincerebbe allora il giro delle consultazioni, e Matteo Salvini, Letta e gli altri leader sarebbero chiamati a dire al capo dello Stato se sono disposti a mettere in piedi un'altra maggioranza di salute pubblica oppure intendono sfruttare l'occasione per andare al voto in autunno, esito che Mattarella farà il possibile per scongiurare. Se quelli saranno d'accordo con lui, nascerà il governo che varerà la legge di bilancio, provvederà al rispetto del Pnrr e porterà gli italiani ai seggiin primavera. Potrebbe essere guidato da uno degli attuali presidenti delle Camere o dallo stesso Draghi, sorretto dalla maggioranza attuale depurata del M5S.

«Ipotizziamo per un attimo che Draghi lasci», argomenta un ministro. «Succede che lo spread decolla, non ci arrivano altre rate del Pnrr, in Europa ricominciano a non ascoltarci più, il "price cap" sul gas ce lo scordiamo e l'inflazione va alle stelle e ci impoverisce tutti. Ed è vero che lui non ne può più, ma ha anche un forte senso del dovere». Matteo Renzi, che certe previsioni le azzecca quasi sempre, a questo punto vede due possibilità: «Draghi bis o subito al voto». Mattarella non avrebbe dubbi su cosa scegliere, i partiti è il caso che inizino a ragionarci.

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