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Ripensamenti a sinistra: Giuseppi da "statista" a "politicante", che figura...

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Massimo Sanvito
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Ma come? Prima statista tutto d'un pezzo e ora politicante da quattro soldi? Prima premier responsabile e ora leader scellerato? Prima avvocato del popolo rigoroso, tanto da supportarlo nel suo bis a Palazzo Chigi, e ora semplice uomo assetato di potere? C'è un cortocircuito evidente a sinistra, sia tra Pd e compagni che tra la stampa progressista, su Giuseppe Conte dopo il mancato voto sul decreto legge Aiuti che ha portato Draghi a rassegnare le proprie dimissioni (poi respinte) al Quirinale. Ce li ricordiamo benissimo quando elogiavano l'allora Presidente del Consiglio nei giorni in cui Salvini faceva cadere il governo gialloverde. Era l'estate del 2019 ed era tutto un pullulare di complimenti, pacche sulla spalla e smancerie tra le pagine dei quotidiani chic e tra gli scranni del Partito Democratico, prontissimo a tornare nell'esecutivo con l'accozzaglia giallorossa.

 


Conte veniva dipinto come una vittima dell'arroganza leghista, come l'uomo che per chissà quali meriti doveva continuare a reggere le sorti del paese senza quell'alleato ritenuto scomodo e per nulla responsabile. Dicevano: ma come si può far cadere il governo d'estate? E giù fiumi di inchiostro sul Papeete salviniano, come fosse un colpo di testa improvviso e non la reazione a una serie di grandi "no" a cinque stelle. Giuseppi era diventato, di colpo, il presidente con la P maiuscola.

 

 


Lo santificavano un giorno sì e l'altro pure, perché mica era rimasto al suo posto per la poltrona, passando dall'appoggio della Lega a quello del Pd, sia mai... Secondo le anime belle di sinistra si era immolato per la causa nazionale, scaricando il nemico numero uno per antonomasia a quel tempo: Matteo Salvini. Lodi, ringraziamenti, onori. Di tutto e di più.
DIETROFRONT Sono passati tre anni ed ecco una nuova crisi di governo. Causata proprio da quello statista che gli stessi che avevano incensato ora riducono a terribile guastafeste. Giusto qualche esempio. «Non ci si inventa leader di partito da un giorno all'altro», ha detto il senatore Pd, Luigi Zanda. «Conte un punto di riferimento per la sinistra? Il giudizio è superato dai fatti. È un leader in difficoltà», testo e musica del governatore dem del Lazio, Nicola Zingaretti. «Paradossale una crisi ora. Così Conte butta via la nuova agenda sociale», il pensiero del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. Per non parlare delle giravolte della stampa che strizza l'occhio a sinistra... E pensare che Pd e Movimento 5 Stelle avevano deciso di sperimentare il cosiddetto campo largo, presentandosi uniti contro il centrodestra alle elezioni amministrative di diversi Comuni da nord a sud. E ora? Per il capo grillino, persino l'invito alla Festa dell'Unità che torna a Roma dopo dieci anni è in forse. Conte è contro il termovalorizzatore nella Capitale, rischia seriamente di far cadere il governo e pure di mandare all'aria l'alleanza al di fuori del Parlamento: meglio prenderne le distanze. Della serie: ma chi lo conosce? È la triste parabola dell'avvocato giunto a Palazzo Chigi quasi per caso: da idolo progressista, in chiave anti-sovranista, a rinnegato mercante di giochi e inciuci di palazzo.

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