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Concita De Gregorio, l'orfana del permier: dopo la caduta... un sinistro melodramma

Concita De Gregorio

Alessandro Giuli
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Piano con il melodramma! L'Italia senza Mario Draghi al timone perde, sì, un blasone scintillante ma la Nazione ha le energie e le risorse istituzionali per una transizione ordinata verso la liturgia elettorale autunnale. Anzi, a forza di fare le vedove inconsolabili di Draghi, piagnucolando come prefiche in coro sui media più influenti, giornalisti e politici inavvertiti finiscono per indulgere in una retorica dell'allarmismo dai tratti decisamente autolesionistici. Ha iniziato subito a caldo il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, con poco rispetto per la felpata diplomazia di cui sarebbe in teoria il più altro rappresentante, denunciando sui social la caduta del governo come «una pagina nera per l'Italia» e assicurando che «gli effetti di questa tragica scelta rimarranno nella storia». Ieri sono continuatele dichiarazioni e le titolazioni seriali -vergogna!... l'Italia tradita... addio... sfascisti!
- accompagnate da vaticinii di morte civile, fallimento democratico, default finanziario, apocalisse economica, esplosioni sociali... e così via nella litania jettatoria del rancore e del rimpianto. Anche con qualche vetta d'involontaria comicità, come nel caso dell'eurocronista radical-fogliante David Carretta, che seguirebbe Draghi persino sulla pira funebre come le antiche mogli hindu coi mariti funeralizzati, il quale ha tuittauno to dal suo oltretomba: «Se siete giovani, emigrate; se siete meno giovani e avete figli, spingeteli a emigrare».

 

 

 

TWEET D'ESPATRIO Perfetto stile girotondono, genere Flores d'Arcais e dintorni, ai bei tempi in cui gli inquilini dei superattici liberal minacciavano di lasciare il Paese berlusconizzato epperò... signora mia poi chi la fa la resistenza? Per non dire degli allarmi palesemente bugiardi sull'impossibilità di perfezionare il Pnrr, con tanti saluti ai miliardi (in prestito condiviso) dell'Unione europea, sul collasso sistemico al quale andremmo incontro in tempi di guerra e peste e carestia e siccità. I primi a sapere che le cose non stanno esattamente così sono appunto gli urlatori del Per Concita De Gregorio, Draghi in parlamento aveva «un tono da titolare di cattedra ad Harvard che è finito in un alberghiero di Massa Lubrense». E Lapo Elkann attacca: «Mandano a casa l'italiano più rispettato al mondo. Sono solo dei Fantozzi di provincia». Il giornalista David Carretta, invece, invita ad emigrare (LaPresse) momento, ovvero i parlamentari del fronte che si vuole progressista: i decreti approvati sono già vigenti e le Camere, sia pure sciolte e in una situazione diciamo non proprio armonica, possono tranquillamente votarli e convertirli in legge. Di che stupirsi, allora, se poi all'estero guardano all'Italia con preoccupazione non sempre disinteressata? Oltretutto è bene far notare che simili atteggiamenti stridono parecchio con la silente compostezza mostrata dal presidente della Repubblica e dal premier uscente, i quali hanno finora evitato di drammatizzare la circostanza al punto tale da rinviare a ieri la cerimonia delle dimissioni e l'iter conseguente. Obiettivo: rassicurare gli italiani, i mercati e il mondo intero sulla capacità d'una grande e matura democrazia occidentale di assorbire il colpo e incardinare una crisi parlamentare nel quadro della ordinaria dialettica prevista dalla Costituzione.
La stessa Carta fondamentale che ha consentito alla migliore risorsa della Repubblica di dispiegare il suo valore nello stato d'eccezione pandemico-sociale e bellico, sorretto da una larghissima maggioranza doviziosamente depoliticizzata, oggi ci consente di superare lo stallo in tempi relativamente brevi senza cadere nel caos o nello sconforto, e tenendoci a debita distanza dal tanto temuto esercizio provvisorio.
 

 

 

DRAGHISMO DI RITORNO Con il che non si vogliono qui sottovalutare incognite, criticità e delusioni d'ogni ordine e grado, tutte legittime. Il punto è riconoscere la compiuta sovranità del popolo e del Parlamento, sotto la tutela del Quirinale e dell'ineffabile Stellone italico, e rammentarsi che gli affari correnti in mano a Draghi garantiscono peraltro una continuità perfetta anche se mutilata nel prestigio personale o nella pienezza della sua percezione. Fino a che non subentrerà il nuovo esecutivo, il quale a sua volta si alimenterà di una legittimazione consacrata dai Comizi popolari e - azzardiamo - difficilmente potrà abbandonare i punti qualificanti dell'agenda compilata dall'ex banchiere centrale europeo. Chiamatelo, se volete, draghismo senza Draghi, ma evitiamo di rivestire a lutto il Tricolore e invitiamo piuttosto le vedove inconsolabili a smaltire il loro privato dolore lontano dal palcoscenico pubblico. 

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