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Meloni, fallito il primo attacco dei pm: "Assolta", l'inquietante caso di Terracina

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Paolo Ferrari
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Abbiamo scherzato. L'ex sindaca di Terracina, Roberta Tintari di Fratelli d'Italia, arrestata il mese scorso con l'accusa di corruzione, turbata libertà degli incanti e falso, è stata scarcerata questa settimana dal tribunale del riesame. I giudici hanno annullato ben quattro capi d'imputazione su cinque, di fatto smontando la maxi inchiesta della procura di Latina che aveva costretto Tintari alle dimissioni. Eppure leggendo il comunicato diramato dai pm il giorno della retata le prove parevano essere schiaccianti. Le indagini, infatti, avevano permesso di «disvelare e documentare condotte di pubblici funzionari, all'interno del Comune di Terracina, che appaiono finalizzate al perseguimento di interessi personali e non coerenti, dunque, con i compiti istituzionali». Per arrestare la sindaca gli inquirenti non si erano fatti mancare nulla: «La complessa e articolata attività investigativa si è svolta con ispezioni, acquisizioni documentali, testimonianze, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche».

 

 

L'INTERROGATORIO
L'inchiesta, denominata "Free Beach", era stata condotta dalla capitaneria di porto e dai carabinieri alle dipendenze del procuratore aggiunto di Latina Carlo Lasperanza, magistrato noto alle cronache per aver in passato svolto le indagini sull'omicidio di Marta Russo, la 22enne studentessa romana colpita alla testa da un proiettile mentre camminava in un viale della Sapienza di Roma il 9 maggio del 1997. In quegli anni la Procura di Roma era nell'occhio del ciclone per diversi omicidi irrisolti, come il delitto di via Poma e quello dell'Olgiata. Per evitare un nuovo buco nell'acqua, Lasperanza, affiancato dal collega Italo Ormanni, non perse tempo e focalizzò l'attenzione su Gabriella Alletto, una dipendente dell'università. Il video dell'interrogatorio della supertestimone, ad oggi ancora reperibile su Radio Radicale, finirà sui media l'anno successivo, travolgendo la Procura di Roma.

Nel filmato di 4 ore si vede la Alletto piangere e giurare sulla testa dei suoi figli di non essere mai stata nell'aula 6 di filosofia del diritto da dove sarebbe partito il colpo mortale. I due pm, allora, a turno si immedesimarono nel poliziotto "buono" e in quello "cattivo", prospettando di incriminare la segretaria per omicidio («lei va in carcere, e non esce più»). E la Aletto, che prima aveva negato, accuserà i ricercatori Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro di essere stati presenti in quell'aula. Il governo ed il Parlamento rimasero sono sotto shock per queste immagini. Per l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi si trattò di una «vicenda gravissima». Luciano Violante, presidente della Camera, accusò i due magistrati di «mancanza di deontologia: un magistrato ha nelle mani la vita, i beni, il futuro delle persone, deve essere educato a esercitare questi suoi poteri nel modo più rispettoso possibile». Il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, sommerso dalle interrogazioni parlamentari, chiese una relazione al procuratore di Roma e l'avvocato Carlo Taormina presentò a Perugia una denuncia contro i due magistrati chiedendo che venisse accertato se nei loro comportamenti «siano ravvisabili fattispecie di reato», quando prospettarono alla Alletto di una possibile incriminazione per omicidio.

 

 

AL CSM IN QUOTA RENZI
Alla vigilia della decisione del giudice del capoluogo umbro sulla loro incriminazione accadde però un fatto senza precedenti: 80 pm della Procura di Roma firmarono una petizione in cui si evidenziava la correttezza dei colleghi, il cui agire si era sempre distinto «per equilibrio, preparazione tecnico-giuridica, impegno, profondo senso morale e assoluto rispetto delle garanzie processuali». E il giudice il giorno dopo assolse entrambi perché «il fatto non sussiste». Anche il Csm archivierà la pratica che era sta aperta nei loro confronti con 15 voti a favore e 14 astensioni, scrivendo che nell'interrogatorio non vi era stato alcun «atteggiamento persecutorio o inquisitorio», semmai erano rilevabili condotte «discutibili», ma si trattava comunque di «fatti isolati». Lasperanza è adesso candidato alle prossime elezioni per Csm in una lista, pare, legata a Cosimo Ferri, magistrato e renzianissimo deputato di Italia viva sorpreso a maggio del 2019 con Luca Palamara a discutere presso un albergo della Capitale della nomina del futuro procuratore di Roma. 

Riceviamo e pubblichiamo: 

(...) Detto articolo, dal contenuto strumentale ed altamente inveritiero, appare chiaramente originato al fine di orientare il lettore a farsi una idea del dott. Lasperanza totalmente difforme dalla realtà ritenendolo un magistrato propenso alla illegalità diffusa e vicino a centri di potere occulti, condizionanti l’operato del CSM, facile ad inscenare processi che finiscano nel nulla proprio a causa della sua incapacità o per obbedire a logiche estranee al perseguimento dell’applicazione della legge.

Nel suddetto articolo, infatti, viene riferita la falsa circostanza che il Tribunale del riesame “smontando la maxi inchiesta della procura di Latina che aveva costretto la Tintari alle dimissioni” l’ha “scarcerata” ed anzi, come si legge nel titolo, “assolta”, lì ove invece il Tribunale del riesame, proprio alla luce delle emergenze dell’ inchiesta condotta dal dott. Lasperanza, ha confermato nei confronti della predetta, la sussistenza non solo del requisito dei gravi indizi di colpevolezza ma anche di precise ed attuali esigenze cautelari, tanto da disporre nei suoi confronti la misura cautelare dell’obbligo di presentazione ai C.C., in luogo degli originari arresti domiciliari.

Nel riferire la suddetta falsa circostanza, inoltre, l’autore menziona, in modo del tutto capzioso, circostanze risalenti alle indagini svolte dal dott. Lasperanza sull’omicidio di Marta Russo, sebbene completamente avulse dai fatti oggetto dell’articolo ed ampiamente superate dagli esiti processuali che, come è noto, hanno visto i due imputati, assicurati alla giustizia grazie al lavoro svolto all’epoca dagli inquirenti, poi condannati in via definitiva per il reato di omicidio , senza peraltro che gli atti compiuti dal p.m. abbiano subito la minima censura, trovando le richieste ed i conseguenti provvedimenti interlocutori dei Giudici conferma anche in Cassazione, con assenza dunque di pronunce di non convalida o di annullamento. Inoltre il dott. Lasperanza, contrariamente a quanto si legge nell’articolo, non è stato salvato dalla strumentale della denuncia a suo carico, dall’intervento di “ottanta pm della Procura di Roma” che scrissero un lettera di protesta e solidarietà a favore del pm Laperanza, ma da una sentenza del GUP di Perugia che lo ebbe a prosciogliere perché il fatto non sussiste e dunque con formula piena per il fatti inerenti il citato interrogatorio della Alletto, fatti rispetto ai quali caddero tutte le procedure disciplinari conseguenti e per i quali pertanto il medesimo vanta oggi pieno diritto non solo all’oblio, ma anche ad una ormai obiettiva ricostruzione degli accadimenti.

Infine, con accostamenti ad effetto ed utilizzando un tono volutamente denigrativo, la persona del dott. Lasperanza è accostata a vicende a lui del tutto estranee, quale quella dell’incontro tra Cosimo Ferri e Luca Palamara, nel chiaro intento di sollecitare nel lettore il medesimo giudizio negativo, già notoriamente espresso dall’opinione pubblica su detta vicenda. Appare quindi evidente l’intento diffamatorio mirato a fare apparire il dott. Lasperanza indegno di essere eletto al CSM, incapace e rispondente a logiche del tutto estranee al perseguimento della giustizia, nonché il conseguente danno derivatone. (...)

avv. Mariarita Teofili

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