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Giorgia Meloni, la spifferata di Bisignani sulle "poltronissime"

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L'avanzata di Meloni, Crosetto e il ritorno di Tremonti, scrive Luigi Bisignani, "stanno surriscaldando i Palazzi del potere economico". Le razionalizzazioni "strategiche" che il governo Draghi "non ha voluto neppure impostare, troppo impegnato a sistemare gli amici degli amici del Pd e della Bocconi", prosegue nel suo articolo su Il Tempo, "riguarderanno l'integrazione di Leonardo con Fincantieri - come auspicava Giuseppe Bono- di Snam con Terna, fino alla ridicola sitcom sulla rete unica interpretata da Cdp, Open Fiber, Tim e Vivendi". Secondo Bisignani "non mangeranno il panettone", il "Dg del Tesoro Alessandro Rivera, l'Ad di Leonardo Alessandro Profumo e il numero uno di Cdp Dario Scannapieco".

 

 

Il "gran rientro del Draghi boy a Roma", aggiunge Bisignani, "ha coinciso con una 'pulizia etnica' di manager sostituiti in posizioni chiave solo da suoi fedelissimi, come 'l'esperto' fisioterapista Fabio Barchiesi, nominato capo dello staff o il comunicatore Marco Santarelli, tutto teso a fare la guerra ai manager di Banca Intesa. Stessa sorte riservata anche ad altri dirigenti di valore allontanati dalle stanze dei bottoni di Cdp, quali Daria Ciriaci", "Paolo Calcagnini, Pierfrancesco Ragni fino a Pierpaolo Di Stefano" e ancora "Stefano Siragusa messo in freezer in TIM dall'Ad Pietro Labriola nonostante i brillanti risultati ottenuti, così come altri capi area di Open Fiber (Sannino, Paggi e Bonnanini) epurati senza complimenti, con il placet della Cassa, dal tentennante Ad Mario Rossetti".
 
A questo punto, sottolinea Bisignani, "il centrodestra governante in pectore non ritiene opportuno che Cdp faccia proprio adesso un'offerta su Tim.
Ma la logica del piano della patriota Giorgia è senz'altro coerente: non si possono lasciare infrastrutture strategiche in mano ai privati, soprattutto se stranieri, anche se è convinta di riuscire a instaurare un rapporto franco e leale, a differenza di Conte e Draghi, con i francesi di Vivendi, conscia com'è della forte relazione dei due capitaines parigini, Bolloré e de Puyfontaine, con gli ambienti della destra francese e degli euro burocrati di Bruxelles.
In questo contesto appare evidente come sia certamente più appropriato immaginare un'Opa su tutta Tim da parte di Cdp, che così acquisterebbe la rete a prezzi molto più convenienti, per poi fonderla con Open Fiber e, successivamente, vendere sul mercato gli altri asset dell'ex monopolista delle Tlc".

 

 

Un altro scontro "è sul ruolo di Open Fiber, dove, l'Ad di Tim Labriola, pone il tema dal punto di vista finanziario: dal momento che Cdp deve risolvere il problema di Open Fiber, ci sarà maggiore propensione a pagare cifre fuori mercato. Al contrario, per Di Stefano e Siragusa, il tema avrebbe dovuto essere affrontato dal punto di vista industriale, con Tim fulcro dell'intera operazione. La costola sudamericana Tim Brasil viene considerata da Labriola un asset strategico, al contrario di Siragusa, Fratelli d'Italia e anche Lega che lo valutano invece sacrificabile per finanziare lo sviluppo della rete, dei piani del Pnrr in Italia e il rafforzamento della rete nel mediterraneo, del PSN (Polo Strategico Nazionale) e del Cloud. Contrasti legittimi che un capo autorevole di Cdp avrebbe dovuto dirimere, interloquendo con Vivendi; invece l'altezzoso Scannapieco, a differenza del suo predecessore Fabrizio Palermo, li ha sempre guardati dall'alto in basso".

Ma attenzione, conclude Bisignani. Se "la Meloni vincerà le elezioni, tutto dipenderà da chi chiamerà a raccolta. Se riuscirà a circondarsi e coinvolgere nel suo esecutivo uomini e donne di esperienza o se, una volta a Palazzo Chigi, volerà basso come i gabbiani anziché svettare come un'aquila. Sempreché gli alleati, Berlusconi e Salvini, non si diano al bracconaggio e comincino ad impallinarla da subito, magari suggestionati dall'idea di un Draghi-bis".

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