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Sergio Mattarella smentisce gli anti-Meloni, intrigo al Colle: l'ira del presidente

Alessandro Giuli
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Certe smentite valgono doppio. Per esempio quella con cui ieri il Quirinale ha preso le distanze da qualsiasi retroscena giornalistico in cui si voglia alludere a un malumore di Sergio Mattarella per le mire di Giorgia Meloni su Palazzo Chigi in caso di vittoria elettorale. C'è chi ha espressamente parlato di "stupore" al Colle, come Marzio Breda sul Corriere della Sera, e chi ha improvvisato la solita lezioncina di diritto costituzionale sulle prerogative quirinalizie circa il potere di nomina del primo ministro. Perfino l'alleato Matteo Salvini, tornato per il momento in modalità "istituzionale", prima d'invocare ieri un "armistizio su luce e gas" tra le forze politiche aveva sottolineato il dettato espresso dall'articolo 92 della Carta fondamentale.

Conta ormai relativamente la circostanza che Meloni avesse soltanto escluso - rispondendo a una domanda specifica - l'esistenza d'un pregiudizio sul proprio nome da parte del capo dello Stato. Veniamo dunque alla lettera e al possibile significato delle parole vergate nella nota dall'Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica: «Sono del tutto privi di fondamento articoli che presumono di interpretare o addirittura di dar notizia di reazioni o "sentimenti" del Quirinale su quanto espresso nel confronto elettorale. Questi articoli riflettono inevitabilmente soltanto le opinioni dell'estensore». È una fredda, chirurgica precisazione che lascia poco spazio alle tentazioni congetturali. Mattarella rifiuta cordialmente, ma con fermezza («del tutto»), di farsi gettare nella mischia di quello che con una certa eufemistica benevolenza lascia definire dal suo staff «confronto elettorale» anziché lotta nel fango. A maggior ragione qualora si cerchi di attribuirgli stati d'animo («sentimenti») piuttosto che la calma e neutrale vigilanza con la quale osserva dall'alto il campo di battaglia politico.

 

 

 

CONTESA INEDITA
L'aspetto più banale della nota, a ben vedere, è anche quello più rilevante: il Quirinale non intende consentire a che si utilizzino perfino i suoi silenzi in una contesa inedita e oggettivamente più delicata delle precedenti, poiché vede per la prima volta la destra postfascista in vetta ai sondaggi e la sua leader emergere di conseguenza come predestinata naturale alla premiership. In un quadro emotivamente squilibrato come l'attuale, qualcuno già s' inoltra in interpretazioni simmetricamente opposte a quelle che hanno originato la precisazione quirinalizia: la nota di ieri avrebbe informalmente aperto a Giorgia la via di Palazzo Chigi; magari con il tacito assenso di Mario Draghi, in qualità di premier uscente indiziato d'intrattenere buoni rapporti con la presidente di Fratelli d'Italia. Chissà.

Ma siccome, per utilizzare un'espressione "apollinea", la giusta misura sta nel mezzo, è realistico pensare che la verità sia a metà strada e che sul Colle dei quiriti si avverta il bisogno di formalizzare subito - con una voce sola e tempestiva che scoraggi anche eventuali divaricazioni inter ne fra consiglieri - l'indisponibilità a qualsivoglia pressione partitica e strumentalizzazione mediatica. Occorre forse ricordare che il bispresidente Mattarella, soprattutto dopo la sua rocambolesca rielezione nel gennaio scorso, personifica la figura istituzionale più forte in Italia e più influente all'estero nel reticolo di relazioni che sorregge la nostra reputazione internazionale? Se il suo rispetto meticoloso del perimetro costituzionale è pari alla conoscenza persino accademica della materia, ciò non vuol dire che egli possa o voglia sottrarsi al dovere di essere il motore immobile (ma non inoperoso) di una transizione ordinata verso il nuovo assetto parlamentare che uscirà dalle urne del 25 settembre.

 

 

 

PARTE ATTIVA
In altre parole: ferme restando la sovranità popolare, la centralità delle Camere e la traiettoria prescritta dalla legge elettorale vigente, è ovvio che Mattarella sarà parte attiva di un percorso nel quale la sua autorevolezza inciderà nella selezione dei ministri e nel garantire il rispetto dei vincoli esterni contratti dall'esecutivo d'emergenza per fronteggiare la crisi pandemico-sociale cui l'Europa ha risposto con il piano "Next Generation EU". Tutto ciò, a prescindere dal colore o dall'equazione personale del premier che verrà indicato dalle forze parlamentari e da lui nominato avendo in vista il bene superiore della Repubblica. Res Publica di cui - dettaglio non indifferente, in prospettiva - rappresenterà la prima carica sino al 2029. E cioè, ben che vada, per lo meno anche nella prossima legislatura. 

 

 

 

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