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Enrico Letta come Fantozzi: tour sul bus elettrico, cosa non vi dicono

Alessandro Giuli
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Affidereste l'Italia a uno che predica la globalizzazione viaggiando per le Statali a 50 chilometri orari, alla perenne ricerca d'una colonnina per ricaricare il suo pulmino elettrico in pieno choc energetico? Più che a una campagna elettorale, quella di Enrico Letta somiglia alla parodia di sé stesso o a uno spot televisivo per la decrescita infelice indirizzato agli inquilini della terza età.

 

La desolante notizia ci è giunta attraverso Repubblica, in un imbarazzato taglio basso interno e senza firma che in gergo si definirebbe "redazionale" ma nel lessico della realtà si chiama senso del pudore. Abbiamo dunque saputo che un mini bus omologato per 20 persone è diventato una bicicletta a quattro ruote sulla quale ogni giorno il segretario del Partito democratico s' arrampica dolcemente fra poggi e declivi, sdegnando la fosforescente velocità autostradale, nel goffo tentativo di apparire smart risultando invece incomprensibilmente desueto. E, aggiungiamo, in perenne ritardo sulla tabella di marcia in vista dei comizi; poiché queste benedette colonnine in Italia non esistono se non in quantità omeopatica e metropolitana. 

Ma lui ha deciso così: il 25 settembre, a urne chiuse, non potrà certo rimproverarsi d'aver vilipeso l'ecosistema, ed è quasi commovente immaginarselo mentre decide di sacrificare la propria leadership nel Pd per il bene dei nostri figli. Quasi a dirci, insomma, che vincere il trofeo del climaticamente corretto con una scampagnata green val bene il rovescio alle politiche.

 

IL PRECEDENTE 
Incoraggiata dal fremito nostalgico sfuggito all'articolista anonom* di Repubblica, la comune memoria cronistica corre subito alla metà degli anni Novanta e al 2006, quando Romano Prodi percorreva le patrie autostrade sopra l'imponente pullman ulivista per andare a conquistarsi Palazzo Chigi sbuffando ovunque gas da idrocarburi al ritmo della Canzone popolare di Ivano Fossati. Sorridente e predatorio, rotondetto ma solido come si conviene: il perfetto fenotipo dell'emiliano industrioso, confidente con il potere e la vita bella. In una parola: rock. E cioè l'esatto contrario del nostro spigoloso e verdognolo Letta che non si affretta lentamente ma lentamente s' affanna, arranca nel labirinto senza uscita di un appuntamento elettorale nato sotto una cattiva stella.

Anche Prodi, allora, fu impegnato in una polarizzazione estrema del messaggio politico propagandato a cielo aperto: o me o Silvio Berlusconi, non ancora Caimano ma già sperimentato nel 1994-1995 e nel 2001-2006 come fattore destabilizzante per la pubblica quiete delle rendite di sinistra. Era il bipolarismo che vagiva, al primo giro, declamava poi la propria ascesa dominante sulla scena pubblica, con l'andreattiano di Bologna in qualità di papa straniero e federatore di mondi poco compatibili (e lo si è visto dalla scarsa durata dei suoi governi) ma capaci almeno di atterrare il centrodestra. Letta no, ancorché andreattiano pure lui e non meno amato dalle tecnoburocrazie europee, si ritrova a simboleggiare una non-coalizione frammentata e multipolare, con un Pd divorziato male dai Cinque stelle, sbilanciato malissimo a sinistra e peggio ancora vampirizzato al centro dal terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Oltretutto costretto (ma pure mal consigliato!) a inventarsi slogan autarchici e orwelliani appiccicati su fondali rossobruni: "Scegli!".

GIOVANILISMO
Se soltanto, alla vigilia della gara, al posto del vecchio giovanilismo da Joe Condor il nipote d'arte avesse praticato l'intramontabile rigore della cosiddetta "analisi di fase" da antica scuola comunista, un esame accurato delle reali forze in campo e delle condizioni ambientali più che ambientaliste, ne avrebbe ricavato la necessità di sfrecciare per l'Italia in un convoglio blindato e a sirene spiegate, indossando casco e giubbotto antiproiettile. Altro che occhi di tigre sul pulmino erratico in gita fuoriporta, triste controfigura postmoderna della gloriosa Ape a tre ruote con sbandieratori paesani sul retro, ciò che almeno avrebbe tinto l'impresa lettiana d'inattualità vintage. E invece niente, è andata così.

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