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Giovanni Tria, "chi avvelena i pozzi": gioco sporco contro Meloni e l'Italia

Sandro Iacometti
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Professor Tria, il tetto al prezzo del gas continua a slittare, come se la sta cavando l'Europa contro Putin?
«Si pensava che la guerra economica fosse una passeggiata, mettiamo le sanzioni, la Russia viene colpita e noi restiamo tranquilli e allegri».

E invece?
«Invece era scontato che avremmo subìto anche noi il costo di questa guerra, quando si colpisce si ottiene sempre una risposta. Quelli di Putin sul gas non sono ricatti, ma atti di guerra. L'Occidente deve prendere atto che ha dichiarato una guerra economica alla Russia e adesso deve accettare di farsi carico dei costi».

Sono passati più di tre anni da quando Giovanni Tria teneva le redini di Via XX Settembre sotto il governo Conte I. Mesi difficili, in cui l'allora ministro dell'Economia dovette sudare sette camicie per convincere la Ue, come poi è stato, che l'Italia avrebbe tenuto i conti in ordine. Malgrado la fatica, però, il professore sembra quasi rimpiangere il tempo in cui a Bruxelles almeno c'era qualcuno che comandava...

All'inizio del conflitto da parte della Ue c'è stata grande determinazione, perché ora tutte queste difficoltà?
«Perché all'inizio si sono scelte sanzioni che saranno costose per noi solo in futuro, come nel caso della esclusione delle banche russe dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, un po' come quando si fa debito pubblico che qualcuno ripagherà in futuro. Ora con il conflitto sul gas i costi sono immediati».

E nessuno vuole pagarli...
«Nessuno deve farlo da solo, i costi devono essere distribuiti tra tutti gli alleati. Ed è impensabile che qualcuno possa guadagnarci».

Si riferisce a Usa e Norvegia, paesi Nato che stanno facendo fior di profitti vendendoci il gas?
«Certo, ma anche a Germania e Olanda, che continuano ad opporsi al tetto al prezzo del metano per tutelare i propri interessi. Ma se è così, come facciamo poi a criticare Cina e India che si comprano da Putin il combustibile a basso costo? Anche loro fanno i propri interessi».

Ma fanno anche gli interessi di Mosca...
«Per chi è in guerra il gas è diventato un'arma, per il resto del mondo rimane solo un bene energetico da acquistare sul mercato. Quindi l'Occidente deve agire di conseguenza».

E perché non lo fa?
«Perché non c'è un comando unificato. Una guerra economica di queste proporzioni va portata avanti con una leadership globale che non c'è e con una leadership europea che non c'è. È come avere un comando militare alleato in cui ognuno litiga su ciò che bisogna fare».

Però Ursula von der Leyen ultimamente ha sbattuto i pugni sul tavolo...
«Purtroppo non abbiamo una guida europea, vedo una leadership da parata che serve per le fotografie, ma non vedo alcuna decisione. L'Europa mostra oggi debolezza, ha deciso di portare avanti una guerra economica contro la Russia e poi non si mette d'accordo su niente».

Se la Ue non decide l'Italia da sola cosa può fare?
«Di sicuro non il tetto al prezzo del gas. Per renderlo efficace bisogna creare un cartello da parte degli acquirenti, che deve essere abbastanza ampio e forte da poter fissare un prezzo amministrato. Altrimenti il venditore ti dice grazie e buonasera».

E senza il tetto come finirà per noi?
«Credo che se la situazione non si sblocca dobbiamo dire chiaramente agli italiani che siamo in guerra e quindi si devono fare sacrifici. Bisogna mantenere in piedi le attività produttive e coprire solo le classi più deboli, che devono poter campare, e si taglia in modo feroce dalle altre parti».

Non si dovrebbe sospendere temporaneamente la transizione ecologica?
«Va portata avanti, ma l'accento va posto sulla parola "transizione". Significa che bisogna arrivare alla sostituzione delle fonti fossili in sicurezza. Mentre l'Europa non ha diversificato le fonti di approvvigionamento, ha abbandonato gli investimenti sul gas e si è trovata impreparata di fronte all'emergenza. Come durante la pandemia, nessuno aveva scorte di niente. Si continua a procedere come se tutto dovesse andare sempre bene. La Difesa compra i cacciabombardieri sperando di non doverli mai utilizzare».

La Bce ci può aiutare con le sue politiche monetarie?
«La Bce sta cercando di tenere sotto controllo l'inflazione, però ha sbagliato le stime e ora commette un errore metodologico».

Quale?
«Prendere le prossime decisioni guardando solo i dati. I dati si riferiscono sempre al passato, bisogna avere una visione. Anche in questo caso vedo un grosso problema di leadership».

Aumento dei tassi e costi della guerra non rischiano di riportare l'Italia nel mirino della Ue e degli speculatori, come capitò a lei quando era ministro?
«Questo pericolo lo vedo meno, la situazione è molto cambiata da allora, quel governo era una sorpresa, si pensava che facesse saltare la finanza pubblica e poi non è accaduto».

Però ci furono grandi tensioni sulla finanziaria...
«Guardi, da ministro dell'Economia ho chiuso un bilancio dello Stato con l'1,5% di deficit/pil, il più basso dell'ultimo decennio, un aumento del surplus primario e una piccola diminuzione del rapporto debito pil».

Dopo molte discussioni con la Ue...
«Il problema principale che dovetti affrontare a Bruxelles era l'eredità lasciata dai governi precedenti, che avevano utilizzato tutti gli spazi di flessibilità introdotti dalla Commissione sulla spesa aggiuntiva per gli investimenti destinando invece le risorse alla spesa corrente. Non è che avevamo una grande reputazione. Non voglio accusare nessuno, però quando si discute di affidabilità mi vengono i nervi».

Adesso molti gettano benzina sul fuoco, dicendo che con un nuovo governo l'Italia finirà in bancarotta...
«Ritengo che quello che stanno facendo in questo senso sia da irresponsabili, significa avvelenare i pozzi. Ma io non credo ci caschino molto i mercati. La posizione che ha assunto Draghi, dire che qualunque sia il governo l'Italia ce la farà, è stata molto importante. Poi le dichiarazioni che arrivano dai partiti che secondo i sondaggi vinceranno le elezioni sono molto tranquillizzanti, nessuno spara sull'Europa o sottovaluta la questione del debito. In ogni caso questa Ue, così debole e divisa, non avrà la forza di isolare l'Italia come accaduto in passato».

Si parla tanto in questi giorni di reddito di cittadinanza, non si è pentito di aver fatto passare quella legge?
«Io ero un ministro di un governo politico, che aveva una maggioranza parlamentare e dei provvedimenti su cui puntava. Nel merito condividevo gli obiettivi teorici della misura, da una parte il sostegno ai poveri dall'altra facilitare la transizione tecnologica, compensando le inevitabili ricadute occupazionali...». 

Però è uscito fuori qualcosa di diverso...
«La legge, e lo dissi già allora, è stata scritta coi piedi, confonde i piani ed è piena di errori tecnici. Pensi che prevedeva che società private facessero gratuitamente la formazione ai disoccupati sperando poi di recuperare i soldi quando i beneficiari avessero trovato un posto di lavoro. Una follia».

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