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Pd, l'ora del panico: la verità sull'assurdo appello pro-grillini

Enrico Letta

Pietro Senaldi
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Vatti a fidare di Michele Emiliano. Chissà cosa pensava, il segretario del Pd, l'altra sera sul palco di Taranto, quando si spellava le mani per applaudire il governatore della Puglia, ostentando tutta la grinta e la determinazione che finora gli sono mancate in questa campagna elettorale... «Faremo sputare sangue al centrodestra, di qui non passerà» arringava il tribuno Michele mentre Enrico si compiaceva, sereno e, al solito, inconsapevole. Già, perché Emiliano, più lo applaudi, più lo carichi, più danni fa. Ebbro di ritrovata notorietà, il presidente pugliese, dopo aver messo nei guai il suo segretario per aver buttato sangue sul voto, ha rincarato la dose in un'intervista al Fatto Quotidiano, dove ha detto che lui voterà Pd, se non altro perché ha la tessera, ma che pur di non far vincere il centrodestra si può votare anche M5S, visto che «presentarsi separati alle elezioni è stato un errore imperdonabile», anche perché dopo il voto tra dem e grillini non potrà che esserci «dialogo e collaborazione per rinsaldare il campo progressista».

 

 


NOSTALGIA
Non si trattasse del Pd, il partito che ha l'autolesionismo e la divisione nel dna, ci sarebbe da stupirsi. Il segretario Letta chiude la porta in faccia a Conte perché ha fatto cadere Draghi e fa una campagna elettorale tutta improntata sulla nostalgia del premier uscente e sul richiamo al voto al Pd come unico utile per non disperdere i consensi della sinistra e fermare la Meloni ed Emiliano che fa? Dice che «il voto utile è anche a M5S, perché bisogna scegliere collegio per collegio il candidato migliore, cercando di confluire su un'unica persona e va stabilizzato il fronte progressista». Il dramma, per Letta, è che, al netto dei fantasmi fascisti che turbano i suoi sogni, dal punto di vista meramente aritmetico il ragionamento di Emiliano non fa una grinza. Il presidente pugliese conosce bene il Sud e, conti alla mano, sa che il Pd non può vincere neppure un collegio uninominale sotto Frosinone, feudo di Albino Ruberti, quello dell'«inginocchiati o ti sparo» e dei suoi commensali. Più probabile che, cavalcando la promessa del reddito di cittadinanza per tutti, in Puglia e in Campania, gli unici a poter sfilare il seggio ai candidati del centrodestra siano quelli grillini. Sei o sette, al massimo una decina, ma sempre più dello zero assoluto verso il quale tendono gli affiliati alle liste Pd. Lo sa perfino la capogruppo dem alla Camera, Debora Serracchiani, che interrogata in tv sulle parole di Emiliano ha balbettato un «per la Puglia il discorso ci può stare», prima di riprendersi e fare un poco convinto appello a votare per i dem. La verità è che nel Mezzogiorno, più che inseguire la Meloni, Letta deve guardarsi le spalle da Conte, che rischia di finirgli davanti in quattro o cinque regioni.

 

 


INTERESSI DIVERSI
Emiliano è già oltre il voto, e quindi oltre il segretario Letta, i cui interessi divergono ogni giorno di più da quelli della sinistra. Enrico punta a ottenere più voti possibile per il suo partito nella quota proporzionale, per rimanere in sella, e a questo punto meglio meno parlamentari ma tutti di sua stretta nomina. Emiliano invece pensa già a quando Bonaccini, o chi per lui, prenderà in mano il Pd e lo risposterà a sinistra, per tornare ad allearsi con M5S e tentare un ribaltone alle prime difficoltà del governo. Chi dei due ha ragione, o meno torto, è arduo stabilirlo. Quel che è certo è che quanto avvenuto è clamoroso: mai si era visto in una campagna elettorale l'esponente autorevole di un partito dire ai propri elettori che, in qualche caso, è meglio votare i candidati di un'altra forza. A riprova che Letta forse sbaglia obiettivo quando dà la caccia ai fascisti; primo perché i fascisti non ci sono, secondo perché i veri nemici che vogliono sfilargli il pallino stanno nel suo partito. Quanto a Meloni e Salvini, si terrebbero Letta come avversario per altri cent' anni. La cosa più comica della vicendad è che, con parte del Pd che fa gli spot a Conte, il leader dem continua a dire che il centrodestra è diviso. 

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