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Pd, il piano disperato: come vogliono usare Putin per governare

Fausto Carioti
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Al di là dei proclami fatti in pubblico, spavaldi come impone il copione pre-elettorale, nei giornali e nei partiti di sinistra nessuno pare credere più alla sconfitta del centrodestra. I sondaggi degli ultimi giorni non possono essere diffusi, ma girano sui cellulari degli addetti ai lavori e non registrano cambiamenti di rilievo. Così una nuova strategia ha rimpiazzato quella usata sinora: se impedire l'affermazione della coalizione avversaria alle urne rasenta l'impossibile, tanto vale iniziare a lavorare per spaccarla dopo il voto. Lo strumento con cui si prova a farlo è la variabile russa. Dai dossier statunitensi, ormai pare chiaro, non usciranno le prove di finanziamenti ricevuti dalla Lega o da altri partiti, ma infilata nelle crepe del centrodestra la "carta Putin" può allontanare la Lega di Matteo Salvini dai Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. E quindi riportare al governo il Pd di Enrico Letta e i partitini di centrosinistra e magari, nonostante la smentita data ieri dal diretto interessato, mantenere Mario Draghi a palazzo Chigi. Questa, almeno, è la speranza di quel mondo progressista che ritiene Joe Biden e la sua amministrazione i demiurghi dell'ordine politico italiano. Ed è qui che vuole andare a parare il disegno di Matteo Renzi, uno dei pochi a sinistra ad avere una strategia, per quanto disperata.

LA RETE EUROATLANTICA
Tutto passa per Fdi e la Meloni, ossia per il partito e la leader accreditati di essere la prima forza del prossimo parlamento e di guidare il governo che verrà. Con sommo fastidio di Letta e degli altri suoi avversari, la Meloni si è mostrata capace di indossare, oltre agli abiti di capo-partito, quelli adatti ad un'alta figura istituzionale. Da lei, sinora, non una parola fuori posto, attenta tessitura dei rapporti con Draghi, determinazione a proseguire lungo la linea atlantica imposta dal presidente del consiglio dopo la sbornia cinese di Giuseppe Conte, massima attenzione a non fare altro debito per non aizzare la speculazione internazionale e compromettere i rapporti con le istituzioni europee. Insomma, chi sperava di avere a che fare con una neofascista di periferia, con la «regina di Coattonia», si è trovato dinanzi ad una conservatrice europea fatta dello stampo dei gaullisti francesi e dei tories d'oltremanica, peraltro rivelatasi in possesso di un ottimo inglese.

Proprio la necessità della Meloni di ritagliarsi un posto stabile nella rete di rapporti euroatlantici, senza il cui sostegno qualunque governo avrebbe vita breve, è la leva che sta manovrando chi vuole disarticolare il centrodestra. Era dedicato a lei, ieri, il commento sulla prima pagina di Repubblica, firmato da Stefano Folli: «Il vero obiettivo degli Usa è Salvini». L'autore, che vanta buoni rapporti oltreoceano, avvisa che secondo l'amministrazione Biden c'è una «contraddizione che l'Italia atlantica ed europea non può permettersi. Una contraddizione che si chiama Salvini», il quale «continua a chiedere la fine delle sanzioni con argomenti graditi al Cremlino». L'alleato americano, assicura il quotidiano di John Elkann, tramite le «allusioni» sui finanziamenti da Mosca, «ci sta dicendo tra le righe che non è accettabile la presenza nel futuro governo di un personaggio come Matteo Salvini, interprete numero uno della linea filo-russa».

Un messaggio simile, sempre ieri, è stato recapitato alla Meloni dalla prima pagina della Stampa. Qui l'editoriale di Marcello Sorgi le spiega che «se quello di Draghi diventa il governo-modello per le relazioni con gli alleati occidentali, e in particolare con Washington, la leader di Fratelli d'Italia non potrà non tenerne conto. E non comprendere che non bastano generiche rassicurazioni sulla propria fedeltà atlantica per far sì che le relazioni si mantengano buone. Meloni insomma dovrà rispondere per sé e per il suo governo. Un esecutivo in cui, va ricordato, Salvini vorrebbe entrare di nuovo come ministro dell'Interno».

AL TAVOLO DEI GRANDI
Gli avvertimenti sono chiari, e coincidono con i ragionamenti che Renzi ha già fatto ai suoi e che girano in certe ambasciate romane. Nonostante la vicinanza (che non riguarda però la politica estera) al premier ungherese Viktor Orbán, la Meloni sta dicendo e facendo le cose giuste e soprattutto pare destinata a vincere, e dunque la sua presenza negli assetti futuri è stata metabolizzata; ma se vuole sedere al tavolo dei grandi deve liberarsi dell'anomalia rappresentata da Salvini. E quindi sfasciare il centrodestra attuale e governare senza la Lega: opzione che la costringerebbe ad allearsi con Renzi, Calenda e il Pd e ad accontentarsi di essere la leader del partito di maggioranza relativa (mentre a palazzo Chigi, nei sogni dell'ex sindaco di Firenze e tanti altri, dovrebbe continuare ad alloggiare Draghi). L'alternativa che le viene offerta è governare accanto ad una Lega senza Salvini, ipotesi al momento irrealizzabile. Questo è il bivio dinanzi al quale gli avversari del centrodestra vogliono mettere la probabile vincitrice delle elezioni. Riuscire a farlo sarà tutta un'altra storia.

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