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Giorgia Meloni, "operazione 2023". L'ex collaboratore: come si arriva al trionfo

Giovanni Sallusti
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«Giova', passo dopo passo». Ho sentito questa frase molte volte da Giorgia Meloni quando ne ero responsabile della comunicazione, e non lo rievoco qui per accarezzare l'Ego (anche perché la realtà s' incaricherebbe subito di ricordarmi che la campagna cui ho partecipato superò di poco il 4%, oggi parliamo di un trionfo del 26%). Mi è semplicemente tornata alla mente di fronte allo spettacolo del mainstream che da ventiquattr'ore cerca di interpretare l'inaudito, l'ascesa di Giorgia nonostante le consegne di editorialisti e cantanti, e non sa fare di meglio che riesumare la decottissima categoria del "populismo". Facile stare all'opposizione e incassare, è la solita fiammata momentanea del popolo bue per l'antisistema, suona l'orchestra già affondata col Titanic.

 

 

 

Esimi orchestrali, se volete combatterla dovreste anzitutto conoscerla. Visto che le vostre disfatte in serie mi fanno un po' pena, voglio aiutarvi: il risultato odierno è figlio di tutto, tranne che di un improvvisato populismo. Non solo Giorgia non improvvisa nulla, è strutturalmente incapace di farlo, reputa un affronto anzitutto verso se stessa affrontare un tema senza aver sezionato un relativo dossier (i testi rigorosamente giustificati e in un preciso formato che ora mi sfugge). Ma soprattutto, è il progetto politico che non ha nulla di estemporaneo: nei corridoi della campagna 2018 la sua cerchia ristretta parlava di operazione "Giorgia 2023", la prima donna premier. Chi scrive stentava a tenere per sé il sospetto sul tasso etilico degli interlocutori, avevano ragione loro. Da lì, è stato un percorso meticoloso e cocciutamente graduale. Ad esempio, Giorgia ha smontato pezzo per pezzo vecchie liturgie stataliste della destra italica, fino a dare vita a un vero e proprio partito dei "produttori" (non si doppia la Lega in Lombardia e Veneto senza questa rivoluzione culturale). A proposito dei soci d'avventura (tutti), ha coltivato per anni una "monogamia" monacale, o maniacale: governo di centrodestra oppure opposizione.

 

 

 

Poteva sembrare una rigidità tristanzuola e impolitica, era politica al massimo grado, perché segnava una differenza: nella realtà esistono anche i valori e l'incommensurabilità coi valori altrui, a peccare di realismo è chi lo nega. Anche qui, c'è una scelta originariamente scomoda: tenersi fuori dall'allora maggioranza gialloverde. E vi assicuro che la tentazione era considerevole, specie per un partito piccolo (sembra un'era fa) che poteva accomodarsi al banchetto degli incarichi. Me le ricordo bene, certe sirene esterne e a dire il vero anche interne, e mi ricordo meglio la sua irremovibilità: abbiamo un'idea di Paese (pardon Giorgia, di "nazione", era la premura lessicale, o fissazione a seconda dei punti di vista, a cui tenevi di più!) opposta al declinismo grillino. È così che Giorgia è arrivata a far saltare il banco, con la sua coerenza pluriennale, inscalfibile, fin prevedibile, con un posizionamento e una visione del mondo, il contrario di qualsiasi "liquidità" populista (come ben sa Tommaso Longobardi, il responsabile dei social che ogni giorno realizza il miracolo di tradurre questa solidità meloniana nel linguaggio più liquido che ci sia). Per cui state combattendo un fantasma, la vera Giorgia Meloni è l'antitesi della caricatura che ne fate, e per questo sono pronto a scommettere che governerà 5 anni, passo dopo passo.

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