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Draghi "sponsor" della Meloni: le telefonate ai premier, sinistra all'angolo

Fausto Carioti
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Chi crede che le ambizioni e i progetti di Giorgia Meloni si fermino a Roma, non ha inquadrato il personaggio. La prossima tappa è Bruxelles e l'obiettivo è quello grosso: mandare il Partito dei socialisti europei, seconda forza nel parlamento Ue, all'opposizione. Nello stesso modo in cui, assieme al resto del centrodestra, Fdi ha appena spinto il Pd fuori dal governo nazionale.

 

Ad aiutare la futura premier italiana nell'impresa sono le altre sigle dell'Ecr, il partito europeo dei conservatori e riformisti da lei stessa presieduto, che si definisce «eurorealista, non anti-europeo» e difende la libera impresa, la famiglia, il controllo dell'immigrazione e «la sovranità dello Stato nazione, in opposizione al federalismo europeo». Oggi conta su un gruppo di 62 eletti, co-presieduto da Raffaele Fitto, il "ministro per gli Affari europei" della Meloni, e ne fanno parte, oltre a Fdi, gli spagnoli di Vox, i polacchi di Diritto e Giustizia (al quale appartiene il primo ministro Mateusz Morawiecki) e altri sedici partiti, alcuni dei quali in forte ascesa. Mentre i socialisti europei sono in crisi di identità e di voti, non solo in Italia. E dentro al Partito popolare europeo una forte corrente, guidata dal tedesco Manfred Weber, presidente del Ppe, ha già fatto sapere di essere interessata ad un simile cambio di alleanze. Il momento storico, insomma, è quello giusto: se non ora, quando?

INTERESSE NAZIONALE
In quest'ottima congiuntura astrale un ruolo importante, anche se mosso da altri obiettivi, lo sta svolgendo Mario Draghi. Il presidente del consiglio, raccontano fonti di Bruxelles riferendo i colloqui avuti con le cancellerie di diversi Stati Ue, dopo le elezioni ha telefonato ai suoi pari grado nel continente, per dare a tutti lo stesso messaggio: «Con Giorgia Meloni si può lavorare». Non lo fa per motivi politici, ma perché spinto dallo spirito di collaborazione istituzionale: da uomo di Stato intende garantire la migliore transizione possibile, nell'interesse nazionale.

In questo modo, con la propria autorità, l'ex presidente della Bce smonta, di fatto, quanto sostenuto dalla propaganda di Enrico Letta e degli altri esponenti della sinistra italiana, che si attendono dai governi europei e dalle istituzioni comunitarie la creazione di un cordone sanitario attorno all'esecutivo guidato dalla leader di Fdi.

Si spiega anche così, col progetto di cambiare la Ue da dentro, la prudenza adottata dalla Meloni nei confronti delle istituzioni di Bruxelles. Dove ora intende presentarsi a testa alta da premier e tra qualche tempo, se gli altri pezzi si incastreranno, intende spostare la barra verso la direzione indicata all'epoca da Margaret Thatcher: «Sopprimere la nazionalità e concentrare il potere al centro di un conglomerato europeo sarebbe altamente dannoso e metterebbe a repentaglio gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere». È in questo senso che, già prima delle elezioni, la presidente di Fdi aveva detto di sentirsi più vicina alla "Iron Lady" che agli esponenti sovranisti e dell'estrema destra: «Se fossi britannica, probabilmente sarei una Tory».

 

Il voto per il rinnovo dell'emiciclo di Strasburgo si terrà nella primavera del 2024, ma rimpiazzare l'asse tra popolari (oggi primo gruppo con 176 eurodeputati) e socialisti (145 eletti), sul quale ora poggia la coalizione che sorregge Ursula von der Leyen, con un patto tra Ppe ed Ecr, è un'operazione complicata che va oltre i numeri e richiede un'adeguata preparazione politica.

Per questo è importante il "caso italiano", dove il partito di Silvio Berlusconi, membro del moderato Ppe, si prepara a sorreggere un governo guidato dalla leader di una sigla di destra (sinora qui era accaduto il contrario). Pesa pure l'esempio di Stoccolma, dove i Democratici svedesi, anche loro membri dell'Ecr, sono emersi dalle urne come seconda forza del Paese e ora governano insieme al Partito Moderato, affiliato al Ppe. E conterà molto ciò che accadrà in Spagna: Vox, il partito alleato di Fdi, quotato dai sondaggisti attorno al 15%, governa assieme al Partido Popular nella Comunità autonoma di Castiglia e León e punta a fare lo stesso a livello nazionale, dopo le elezioni generali del 2023.

UN'ALTRA EUROPA
Una parte dei popolari europei, guidata dal premier cristiano-sociale bavarese Markus Söder, si oppone ad ogni apertura a destra, al punto da mettere in discussione l'appartenenza di Forza Italia al Ppe. Ed è scontato che conservatori e popolari, da soli, non avranno i numeri per formare una maggioranza. Servirà l'appoggio di altri, ma i liberali, cui appartiene Renaissance, il partito del presidente francese Emmanuel Macron, al momento non intendono allearsi con i conservatori, e i popolari sono contrari ad ogni intesa con i sovranisti di Identità e democrazia, tra i quali c'è la Lega. Ma è proprio l'Italia che può dare la svolta. 

Anche per le dimensioni del Paese, il terzo più popoloso della Ue, che elegge 76 europarlamentari su 705. Dentro Fdi sognano in grande e trainati dal governo della Meloni puntano al 30% dei voti, che significherebbe ottenere 23 eletti. Fossero anche qualcuno in meno, un risultato del genere, accompagnato dalla crisi del Pd e degli altri partiti socialisti europei (i cugini francesi di Letta stanno messi peggio di lui), cambierebbe davvero il volto della Ue. Che potrebbe persino diventare un posto in cui la destra italiana scopre che è bello stare.

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