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Pd, la direzione finisce in rissa: "A chi ha dato la parola", chi è questa donna

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Elisa Calessi
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Dieci ore di dibattito. Tanto è durata la direzione del Pd, che ha dato il via a un processo interno che si annuncia lungo e travagliato: «È un partito maschilista» (Valentina Cuppi), «i dirigenti sono screditati» (Brando Benifei), i candidati dem sono stati «respingenti» (Walter Verini), «non si è trovata una sola persona felice di votare Pd» (Matteo Orfini). Sono alcune delle accuse risuonate al terzo piano del Nazareno. Si è discusso perfino sull'ordine degli interventi, con Valentina Cuppi, che presiedeva, accusata di favorire le correnti nel dare la parola. Risentita, ha reagito: «Non faccio niente col bilancino». Anche Letta è intervenuto per difenderla: «Qui ognuno viene, chiede di anticipare l'intervento e se ne va. Lei sta gestendo una cosa complicata, andiamo avanti con tutto il tempo necessario». Alla fine, il segretario dem ha provato a guardare il lato positivo: è iniziata una «catarsi» e «chi ci prende in giro» per la lunghezza del dibattito «non ha idea di cosa sia l'amore perla politica». L'elaborazione del lutto, in ogni caso, è complicata: «Che ci siano al governo gli eredi dell'Msi per noi è una ferita», scandisce Francesca Puglisi. Non mancano citazioni evangeliche. Se il segretario cita «il Vangelo di domenica scorsa, che ci dice di fare le cose perché si devono fare e non perché qualcuno ne riconosca il merito», Peppe Provenzano ricora la lettera di San Paolo ai Corinzi: «Siamo tribolati da ogni parte ma non schiacciati». Sarcastica, è Irene Tinagli: «Ci accusavano di essere il partito della Ztl, ora non possono più dirlo, abbiamo perso voti anche lì».

 

 

 

NUOVO SEGRETARIO

Si chiude con un sostanziale accordo sui tempi del congresso: il nuovo segretario ci sarà entro marzo. «Condivido la relazione del segretario», fa sapere Stefano Bonaccini, finora il candidato in pectore più forte. C'è l'ok di Base Riformista e non arrivano critiche dal resto dei dem. Protesta solo Luigi Zanda: «Il tempo previsto non è sufficiente per una discussione seria». Altro punto fermo, condiviso da quasi tutti, è che il Pd non va sciolto. Rifondato sì, aperto, rinnovato, ricreato. Ma non cancellato. E anche il simbolo, dice Letta, non va toccato. Solo dopo si parlerà di alleanze. Non si può partire dalla scelta se allearsi con Calenda o Renzi. Prima bisogna chiarire l'identità del Pd, sbiadita nella scelta di stare al governo sempre, anche quando si aveva perso. Anche il teorico dell'abbraccio con i Cinquestelle, Goffredo Bettini, mette in chiaro che non pensa né «allo scioglimento, né a una cosa rossa o rossogialla». Sarà una nuova riunione della Direzione ad entrare nel concreto dei passaggi malo schema resta quello individuato da Letta delle 4 fasi con le primarie a due per il segretario a chiudere il tutto. Sebbene a chiedere un ripensamento sulle primarie siano stati, tra gli altri, Peppe Provenzano e Cesare Damiano.

 

 

 

LA SFIDA

I nodi restano. Andrea Orlando ne individua uno «sostanziale»: bisogna chiarire «da che parte stiamo nel conflitto sociale». Spiega: «Abbiamo oggettivamente una tenaglia. La sfida chiara di un partito caratterizzato come il partito delle elite più illuminate, dei ceti urbani. E quella di un partito che incarna in una visione social populista dei pezzi di società. Allora, se dici che vuoi modificare il reddito di cittadinanza quelli che ce l'hanno, non ti votano perché pensano che glielo vuoi togliere e quelli che non lo vogliono, non ti votano perché pensano che lo vuoi tenere». Basta con «l'impostazione neoliberista». Per Matteo Orfini si è rinunciato «alla costruzione di un progetto politico identitario. Da quando è nato il Conte-bis la nostra proposta è stata il campo largo, cioè una alleanza. Abbiamo trasformato lo strumento in fine. Abbiamo cercato la soluzione della nostra debolezza negli altri: affidarsi prima a Conte, poi a Draghi. Non c'è la fiducia di riuscirci noi». Scelte che «hanno trasformato il Pd nel partito della tutela dello status quo». Bonaccini non parla. Ma fa sapere come la pensa. «Condivido il percorso proposto da Enrico Letta, col quale ci siamo confrontati nei giorni scorsi: un congresso vero in cui riaffermare e rigenerare l'identità del Pd. Lo faremo in tempi certi e ragionevoli, perché il Paese ha bisogno di un governo ma anche di un'opposizione pienamente in campo. Partiamo oggi per discutere del progetto del Pd e dell'Italia. Non di alleanze di là da venire».

 

 

 

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