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Giorgia Meloni, ecco il suo metodo: come (e con chi) vuole cambiare l'Italia

Alessandro Giuli
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L'abbiamo definito "Metodo Giorgia" ed è l'esatto contrario del percorso seguìto nel 2018 dal Movimento Cinque stelle appena incoronato dal verdetto delle urne. Loro, i grillini, sono entrati a Palazzo sull'onda anomala d'una protesta antisistemica (sintetizzata nel "vaffa") e con l'obiettivo di "aprirlo come una scatoletta di tonno" per spaccare ogni equilibrio preesistente sino alla dissoluzione. Risultato: i pentastellati hanno espresso una classe (s)dirigente stanziale nell'occupazione del potere ed erratica sino alla transumanza in Parlamento, poiché improvvisata e fragilissima salve rare eccezioni, disponibile a qualsiasi contorsione dettata dal trasformismo.

Lei, Meloni, sta invece capovolgendo gli equilibri e le rendite di posizione per entrare a Palazzo come un corpo estraneo ai suoi chiassosi bizantinismi e riordinarlo secondo uno schema di "monopolio bipolare". Inutile prefigurare geometrie variabili, come quelle che hanno prodotto l'elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato; ozioso attardarsi su questioni personalistiche tra la premier in pectore e Silvio Berlusconi (al netto di appunti rubati e frasi sfuggite) o almanaccare tendenziosamente sui nomi del totoministri alla ricerca di deliberazioni punitive di questa o quella tribù rivale. Chi conosce Giorgia Meloni e il suo staff sa bene che il loro schema è uno solo e obbedisce al medesimo criterio funzionale d'impersonalità attiva con il quale sono state stilate le liste elettorali: poche e insigni personalità estratte dalla società civile, largo spazio a uomini e donne capaci, scelti sulla base di un cursus honorum maturato nei meccanismi amministrativi degli enti locali. Una volta completato il processo di selezione della rappresentanza partitica, ecco che il piano assume i contorni del processo governativo di chiaro stampo politico arieggiato però dalla scommessa della competenza.

REGOLE PRECISE
Una decisione che non pretende di umiliare alcuno degli alleati, semmai comporta un prevalente sacrificio interno alla nomenclatura di Fratelli d'Italia. E al contempo richiede regole precise: l'onore di fare sintesi fra le variegate istanze della coalizione, l'onore d'identificare i componenti del prossimo Consiglio dei ministri da sottoporre al vaglio del presidente della Repubblica. Non si tratta, per usare una formula ora in voga, d'una artefatta postura di compostezza da esibire a beneficio dei detrattori. È piuttosto la Giorgia non rigorista ma rigorosa in materia di bilancio pubblico apprezzata coralmente alla vigilia del voto; la leader che nella serata della vittoria ha invitato il proprio popolo a non festeggiare e ha fatto appello a una forte misura di concordia patriottica da condividere con gli sconfitti. Adesso Meloni è l'aspirante premier entrata in modalità all-in. L'alto profilo dell'esecutivo in gestazione o sarà inappuntabile oppure non sarà; il modulo d'attacco non prevede rinunce di fronte al bisogno d'ingaggiare professionalità esterne, in omaggio alla volontà di sussumere politicamente la qualità tecnica piuttosto che depoliticizzare l'iniziativa dei partiti.

IDENTITÀ
Volendo poi concedere qualcosa alla malizia si potrebbe far notare come il neopresidente postfascista di Palazzo Madama (La Russa) e il suo omologo leghista a Montecitorio (Lorenzo Fontana), collocati come sono nelle sedi della "neutralità costituzionale" poste alla base del triangolo ideale che ha il proprio vertice al Quirinale, rappresentano appunto un'abile istituzionalizzazione degli elementi - diciamo così - più identitari, per storia e vocazione personale, all'interno del centrodestra (o destra-centro). Da ultimo. La rotta della maggioranza liberal-conservatrice non contempla nella propria mappa alcun rigurgito di scomposto populismo, nessuna inclinazione alla frattura con i corpi dello Stato (magistratura compresa, ovviamente), nessuna riedizione dei conflitti andati in scena a cavallo tra i due secoli e poi riemersi carsicamente sotto nuove vesti. Questo è quanto. Ferme restando le prerogative del Quirinale, la centralità del Parlamento e la sovranità riconosciuta al popolo nel perimetro della Carta fondamentale.

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