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Giorgia Meloni, "ecco perché ora si gioca tutto"

Pietro Senaldi
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Il coraggio e la determinazione sono stati la cifra del suo agire da quando ha vinto le elezioni, 27 giorni fa, e la prima premier donna d'Italia ha seguito la bussola che si è data anche nella formazione del governo: ci sono cinque ministri della Lega e cinque di Forza Italia, che fa dieci, quanti quelli di Fdi; e infatti non sarebbe poi così distante dalla realtà definire questo esecutivo come un quasi monocolore di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d'Italia ha dato prova di grande lucidità, ha pensato che la partita è oggi, che lei rischia più di tutti e ha deciso di giocarsela a modo suo, senza farsi spaventare dalle difficoltà contingenti, che sono enormi.

Per questo la premier si è circondata di persone di strettissima fiducia e si è tenuta i ministeri chiave per costruire la propria narrazione di governo, cambiandone in taluni casi perfino il nome. Così le Politiche Agricole sono state ribattezzate Agricoltura e Sovranità Alimentare, le Pari Opportunità sono diventate Famiglia, Natalità e Pari Opportunità e il ministero dello Sviluppo Economico è divenuto delle Imprese e del Made in Italy. Con Sangiuliano alla Cultura, in arrivo dalla direzione del Tg2, è chiaro il progetto di incidere nella coscienza del Paese, anche a partire dalla comunicazione, dalla promozione di iniziative identitarie e dall'affermazione dei valori del centrodestra. Il Pd ha attaccato il governo sostenendo che è il più a destra della storia. Vero, ma inevitabile e finanche giusto, avendo vinto Fdi. Quello che i dem, maestri nei decenni nel plasmare le coscienze degli elettori e nell'arte del lavaggio del cervello non possono tollerare è che questo sia il primo governo di centrodestra privo del complesso d'inferiorità nei confronti del mondo radical-chic, che si pretende di dettare le regole del vivere civile. Le scelte della Meloni fanno capire che, su questo tasto, d'ora in poi si suonerà un'altra melodia.

INCARICHI FONDAMENTALI
Quanto agli uomini, sono tutti fedelissimi, a partire dal sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano, un profilo altissimo di ex magistrato, ma anche quasi un ideologo del partito. Dentro anche Lollobrigida, Crosetto, Urso, Fitto, Ceriani, Santanché, la cerchia più ristretta di Giorgia. I primi tre hanno incarichi fondamentali, l'Agricoltura, strategica e soffiata alla Lega, che lì ha un ampio bacino elettorale, la Difesa, che è un ministero degli Esteri aggiunto, e la vecchia Industria, altro polmone di consenso. Fuori soffia aria di tempesta, meglio quindi muoversi al caldo in casa, lasciando Donzelli, una sicurezza, a occuparsi del partito. C'è il giallo di Fazzolari, il braccio destro di Giorgia che si pensava destinato a ricoprire l'incarico di sottosegretario alla Presidenza. La sua è tutt'altro che una bocciatura, resterà a un passo dalla premier, forse come segretario generale di Palazzo Chigi. Discorso a parte per la Giustizia, elemento di attrito con Forza Italia. In una lotta tutta veneta, Nordio, che Giorgia voleva presidente della Repubblica, la spunta sulla Casellati, nel cuore di Silvio perché vicina a Ghedini fino all'ultimo. Il Cavaliere ne esce sconfitto ma solo formalmente, perché l'ex procuratore, nella visione del diritto, è molto liberale e berlusconiano e animato da maggiori intenti riformatori rispetto all'ex presidente del Senato.

Tra gli alleati, la Lega ha il bicchiere mezzo pieno, ma non può lamentarsi di nulla. Salvini ha deciso di avere cinque ministri lombardi su cinque, anche a costo di rischiare qualche dissapore all'interno del partito, però ha ottenuto ministeri di peso. Si è tenuto per sé le Infrastrutture, piazzando Giorgetti all'Economia. Questo significa che sarà il Carroccio a gestire la fetta più grande dei fondi del Pnrr, con tutti i rischi e le difficoltà che l'onere comporta, ma anche con le opportunità di rilancio del partito che i suddetti incarichi offrono. Certo, il leader della Lega, tra incarichi di governo, di Parlamento e di partito, si dovrà dividere in tre. Per questo ha deciso di mantenere Molinari e Romeo, i migliori che ha nell'organizzazione, come capigruppo. Salvini ha fatto una scelta: soldi, riforme e sicurezza, questa sarà la missione della Lega nella legislatura. Il presidente Mattarella ha deciso che il Viminale non dev'essere un ministero politico, benché per natura lo sia più di tutti, e quindi Matteo ha dovuto rinunciarci, ma ha avuto la possibilità di insediare il suo vecchio capo di gabinetto, Piantedosi, attualmente prefetto di Roma. Con lui spera di controllare l'emergenza immigrati, anche grazie al fatto che si è tenuto la delega sui porti. Resta il capitolo Affari Regionali e Autonomia, che il leader leghista ha blindato con Calderoli. A questo giro sarà un incarico operativo, non un pennacchio, e per questo ci va una prima scelta. L'autonomia speciale per Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono un obiettivo del Carroccio, che con il suo ministro giocherà la partita nella bicamerale che la Meloni ha intenzione di istituire, e affidare all'ex presidente del Senato Pera, per riscrivere l'impianto istituzionale del Paese e portare l'Italia verso il presidenzialismo, che si sposa alla perfezione con il federalismo spinto.

LA FARNESINA
Quanto a Forza Italia, la premier ha acconsentito alla richiesta di Berlusconi di trattare in modo equanime le due anime del partito. Confermatissimo Tajani agli Esteri, il biglietto da visita atlantista ed europeista non solo degli azzurri ma di tutto il governo. Per assurdo, le recenti dichiarazioni del Cavaliere su Putin e l'Ucraina hanno spianato la via della Farnesina all'ex presidente dell'Europarlamento, che gode di un'autorevolezza internazionale che non ha bisogno di lettere di raccomandazione, anzi è di garanzia per tutti. Ruolo di prestigio per la Casellati, alle Riforme e in prima linea nella bicamerale che sarà, e per Pichetto Fratin, alla Transizione Ecologica dopo la rinuncia di Zangrillo, vicinissimo alla Ronzulli, che ha preferito la Pubblica Amministrazione. Per dire se Silvio sarà completamente soddisfatto bisognerà attendere le deleghe all'Editoria, che sarebbe uno sgarbo negargli. Azzurri e Lega si dividono Università e Istruzione, mentre non si può mancare di notare che il capolavoro della Meloni si completa con l'indicazione di Fitto agli Affari Europei. Non è un mistero che la premier vuole portare alla coalizione Ursula una sfida politica, che mira a staccare il Ppe dal Pse, per stroncare il progetto di un Pd europeo, e portarlo vicino ai conservatori, come vuole anche il tedesco Weber. Una battaglia non anti-europeista ma per cambiare la struttura dell'Unione, da cartello burocratico di Stati piallati e uniformati a Confederazione di Nazioni diverse ma alleate.

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