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Giuseppe Valditara linciato perché ministro: la violenza della sinistra

Maurizio Stefanini
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«A differenza di altri popoli antichi, i Romani hanno nel loro archetipo l'idea della unità nella diversità. Roma nasce dall'incontro di popoli e culture differenti». «La grandezza di Roma sta nell'aver saputo integrare e amalgamare popoli fra di loro molto diversi, traendo dalle commistioni influssi benefici. Con pragmatismo e concretezza». «Le origini stesse della civiltà latina vengono proiettate dalla cultura romana in un mitico passato fatto di contaminazioni». «Nel dna di Roma vi è l'idea della mescolanza e della integrazione fra diversi, a certe condizioni». «Tre popoli diversi sono ravvisati alle origini di Roma, uniti su base paritaria. Ognuno ha gli stessi diritti, ognuno ha gli stessi poteri. Ancora una volta i diversi diventano uguali e costruiscono una unica comunità». Domande: chi ha scritto il seguente elogio dell'immigrazione e dell'integrazione: «Al di là delle leggende mitologiche, anche la storia più o meno romanzata dimostra come a Roma gli stranieri si integrassero facilmente e potessero arrivare rapidamente a posizioni di comando. Tarquinio Prisco, il quinto re di Roma, sarebbe stato figlio di Demarato di Corinto, un greco immigrato in Etruria tempo addietro; Tarquinio, immigrato a sua volta a Roma, avrebbe preso il potere fino a cambiare profondamente la costituzione romana. Servio Tullio, il sesto re, sarebbe stato addirittura figlio di una schiava (da cui il nome Servio); di umilissime condizioni sociali, ascese ai vertici di Roma grazie alla sua abilità militare ed alla sua saggezza politica, prima come collaboratore di Tarquinio, poi come suo successore al trono?».

 

 

 

RICHIEDENTI ASILO

Echi ha parlato così dell'integrazione dei richiedenti asilo anche per motivi che a molti oggi potrebbero sembrare discutibili: «Una delle prime istituzioni create da Romolo e confermate da Servio Tullio sarebbe stata proprio l'asilo, ovvero il diritto di rifugiarsi in un certo luogo, fuori dalla propria patria di origine, e chiedere protezione. Sbandati e perseguitati, criminali e nullatenenti, in difficoltà in patria, venivano accolti a Roma rifugiandosi sull'Aventino?». E chi ricorda che, alla fine., chiudersi agli apporti esterni per un popolo può essere un suicidio: «A differenza dei Greci, che per troppo orgoglio non erano capaci di tanta apertura, il modello romano della integrazione ha successo ed è la base del suo progressivo dominio del mondo. Alla "avarizia" greca si contrappone la "generosità" romana nella concessione della cittadinanza. Alla tendenza degli Orientali a concepire lo straniero vinto, come un sud dito di ceto inferiore, si con trappone la tendenza romana alla integrazione?».

Ebbene, chi ha scritto così è ora attaccato dalla sinistra come nemico dell'immigrazione solo perché è diventato ministro di un governo di de stra-centro! Stiamo parlando del nuovo titolare dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, accusato di aver firmato un libro intitolato "L'impero romano distrutto dagli immigrati". In realtà, il titolo originale, per le edizioni Rubbettino, era più tranquillo: "L'immigrazione nell'antica Roma". Si tratta di un'analisi del modello assimilativo dell'antica Roma, che per molto tempo funzionò in modo da fare di una città periferica la padrona del mondo allora conosciuto e la forgiatrice della civiltà occidentale. Purtroppo, a un certo punto lo schema si ingrippò, e effettivamente quella che oggidefiniremmo «immigrazione incontrollata» contribuì a far saltare il sistema. Il punto di non ritorno fu la cattiva gestione di un gruppo di richiedenti asilo goti che bussò alle porte dell'impero nel 376., in fuga dall'invasione unna. Come ricorda Valditara, «per calcoli di corto respiro, l'imperatore Valente non solo permise loro di entrare entro i confini dell'Impero senza prima averli sottomessi, caso del tutto eccezionale nella politica estera romana, ma arrivò addirittura a promettere loro cibo e terre da coltivare». Ma inefficienze e corruzione fecero scappare la situazione di ma no, dando inizio a quelle che furono poi definite invasioni barbariche.

 

 

 

ANALISI E IPOTESI

Attenzione, che un parallelismo tra la crisi dei rifugiati goti e quella dei rifugiati siriani fu fatto ad esempio anche un articolo di Arturo Pérez-Reverte e in un romanzo di Pedro Santamaría: il mondo ispanico ha interesse per quella storia, anche perché nasce dall'apporto di quei goti. E, più in generale, il fattore migrazioni fu al centro delle analisi sulla caduta dell'Impero Romano fatto da André Piganiol. Ma sul relativo toto-cause negli ultimi tre secoli si è accumulata una quantità di ipotesi che va dall'effetto dissolvente del Cristianesimo (Gibbon e Voltaire) al cambiamento climatico (Harper) passando per esaurimento della capacità militare (Luttwak e Engels), inflazione (Weber), mancato decollo capitalista (Fisari), crisi energetica (Rifkin), protesta sociale (Rostovtsev), ripresa dei vecchi nazionalismi (Mazzarino e Tuffolo), collasso del sistema pensionistico (Carrié).

Insomma, Valditara è in buona compagnia, e se nel suo libro si è soffermato meno sulle altre cause del crollo dell'Impero Romano è perché il lavoro riguardava solo l'aspetto multietnico di quella società, ab urbe condita. Ma, appunto, il saggio in sé non fa questa semplificazione. Valditara ammette che c'è stato forse un problema per il titolo modificato con cui è stato poi allegato a un quotidiano. Spiega il neo-ministro: «Come sempre succede quando un giornale pubblica un libro come allegato è l'editore che sceglie il titolo per rendere il lavoro più accattivante. Il mio è, comunque, un pamphlet che riconosce il valore storico delle migrazioni che vanno tuttavia governate e non subite. Spiace che con scarso metodo scientifico ci si limiti a leggere i titoli per esprimere giudizi, senza aver letto i contenuti». 

 

 

 

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