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Ci mancava solo la "carriera alias" nei bagni: l'ultimo schiaffo alla Meloni

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Gianluca Mazzini
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Eccoli. Sono tornati in piazza a manifestare. Dopo annidi letargo. Venerdì scorso è andato in scena il "No Meloni day". Secondo stime degli organizzatori sarebbero scesi in strada 100mila studenti in tutta Italia. Probabilmente c'è uno zero di troppo ma al di là dei numeri il copione è stato rispettato: fumogeni, scritti, insulti (alla premier). La lotta degli studenti, guidati come tradizione da sparuti gruppi di Collettivi Studenteschi, è contro la scuola "del merito" promessa dal nuovo governo ma a sostegno del "meticciato e di una società queer". Queer significa chi è sessualmente, etnicamente o socialmente eccentrico.

 


Sintetizzando si tratta di una promozione della cultura woke, proveniente dalla parte decadente dell'America. Con il termine woke viene indicata quella prassi che vuole criminalizzare il passato e imporre i "valori" delle minoranze alle maggioranze. In sostanza modellare la società secondo i desiderata di piccoli gruppi. Anche in Italia paradigmatico il caso del movimento LGBTQ (Lesbiche-Gay-Bisessuali-Transessuali-Queer) che nelle nostre scuole vuole imporre la cosiddetta "carriera alias". Si tratta di uno strumento da applicare per trattare alunni e studenti in base alla loro "identità di genere" auto-percepita e non del sesso biologico maschile o femminile. Parliamo di una percezione psichica soggettiva che si declina in varianti potenzialmente infinite ma prive di qualunque riscontro scientifico. Una casistica approssimativa comprende: agender (chi non si riconosce in un genere sessuale), bigender ( persona che si identifica in due identità di genere diverse), pangender (individuo che si identifica in più generi), cisgender (chi è a suo agio con il proprio genere biologico), transgender (chi combina caratteristiche maschili e femminili contemporaneamente), genderfluid (colui che rifiuta di riconoscersi in un'identità di genere definita), no-binario (chi non riconosce di appartenere al genere maschile né a quello femminile).

 


Se una scuola approva la "carriera alias" alunni e studenti possono chiedere di essere trattati in base all'identità di genere auto-percepita e non al sesso biologico. A questo punto in registri, elenchi e documenti scolastici si sostituisce il nome anagrafico con quello scelto in base alla nuova identità di genere. Bagni e spogliatoi saranno, quindi, utilizzati in base al genere percepito e non al sesso biologico. Questo passaggio può essere fatto senza informare i genitori e non serve alcuna diagnosi medica di distrofia di genere. Un'aberrazione che però si sta rapidamente diffondendo nelle nostre scuole: sono oltre cento trenta gli istituti scolastici che hanno introdotto la carriera alias nei loro regolamenti interni. È stata l'associazione Pro Vita e Famiglia a lanciare l'allarme. Il portavoce Jacopo Coghe spiega: «La carriera alias non rispetta la legge perché non si possono modificare dati anagrafici senza apposita sentenza del Tribunale, non rispetta la scienza perchè ci vuole una diagnosi medica per accertare la distrofia di genere, non rispettai giovani e i loro fisiologici momenti di incertezza, non rispetta le famiglie che possono non essere informate della scelta e non rispetta la scuola perché i docenti devono accettare un'autodichiarazione e se non si adeguano possono essere accusati di discriminazione o transfobia».

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