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Giuliano Ferrara, l'elogio della Meloni: "A denti stretti, devo dirlo..."

Francesco Specchia
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Leggono sempre Jean Paul Sartre (convinto del ruolo educativo dei pensatori gauche, sempre smentito dalla storia) eppure si stanno consumando nel dubbio che, in fondo, in Raymond Aron non avesse tutti i torti. Credono ancora che la truppa parlamentare di Fratelli d'Italia sia fatta di grigi fasci di complemento; ma pure che la loro Comandante -diaminesi mostri, in fondo, come una «fascista liberale». Più, insomma, Giorgia Meloni prende le misure a Palazzo Chigi, più la vedono come «l'ossimoro politico» che serve al Paese. Spira un'inedita aria revisionista tra alcuni dei nostri più poderosi intellettuali di sinistra, verso la Presidente del Consiglio. Il maître Giuliano Ferrara verga sul Foglio un pezzone esaustivo titolato In un paese così avventuroso è sempre possibile una marcia su Roma. Ma non era questa.

 


Elogio con riserva, della nuova destra italiana. E qui, con alta densità di citazioni, Ferrara fa autocritica in rappresentanza di una sinistra "Bloomsbury style" (riferimento alla più colta cerchia letteraria dell'Europa del 900), piena di riserve «quando giudica il governo Meloni». E, sempre l'Elefantino, sostiene che la premier faccia la cosa giusta, attraverso l'«atlantismo in politica estera e di sicurezza, europeismo con la mossetta nella manovra economica, garantismo impeccabile in un pericoloso ma nutriente profluvio di interviste, abbondante commozione filoebraica». Meloni fa il suo, anche se -postilla Ferrara- «a denti stretti noi diciamo che sì, va benone, che bella sorpresa, ma "per adesso"». Lo spaesamento è facoltativo, la diffidenza è d'obbligo. L'inossidabile Giampiero Mughini a L'aria che tira salta addirittura il «per adesso» . E certifica l'irresistibile ascesa di una ragazza della Garbatella «che non sbagliava una sillaba» elevatasi fino a Palazzo Chigi: «Un'esperienza straordinaria alla Stendhal, è un romanzo che vale la pena leggere». E aggiunge Mughini che Giorgia «sta migliorando giorno per giorno»; e che «è andata a piangere dagli ebrei perché ci crede»; e che il fascismo, dài, non esiste più. E, se Myrta Merlino gli chiede lumi sul «pericolo del postfascimo», be', Giampiero esala un sospiro, ribalta lo sguardo al cielo e sibila di rischiare «l'ictus per la noia, ma che ti ho fatto di male?». L'approccio della sinistra intellettuale verso Meloni, insomma, non è più pregiudiziale. È sempre in divenire, come un flusso di coscienza joyciano. La prevenzione, via via, si muta in rispetto, e in decoro dialettico, e quasi in fascinazione da Sindrome di Stoccolma.

 

E si tenga conto che prima di Ferrara e Mughini s' era stagliato, sul Corrriere della sera, Ernesto Galli della Loggia a specificare quale «destra moderna serve al Paese», puntando l'occhio a Chigi. E , prima ancora aveva fatto il suo endorsement meloniano il sociologo Luca Ricolfi, presidente delle Fondazione Hume. Il quale Ricolfi, culturalmente formatosi a sinistra e ospite alla convention-spartiacque di Fratelli d'Italia a Milano in aprile, scriveva: «Sono costretto a constatare che la censura è passata da destra a sinistra. E simmetricamente la libertà di pensiero è migrata da sinistra a destra». Certo, si esalta Giorgia per allungare dubbi sul suo esecutivo («Però non ha una squadra come l'Argentina, ha una squadra come la Sambenedettese», dice Mughini). Certo, a sfruculiare nell'immaginario culturale di FdI, oggi si diffida del passaggio fra Julius Evola e Roger Scruton, tra Tolkien e l'Ende della Storia infinita e di Ateju, uno vicino alle idee dei Verdi e del Spd tedesco. Certo, non ci si capacita di cosa diavolo ci faccia Pasolini nel pantheon conservatore di Giorgia. Certo, non è mica la Thatcher, epperò, in fondo in fondo.... 

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