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Pierpaolo Sileri, la rivelazione: "Lockdown? Non serve"

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A Pierpaolo Sileri (ex Movimento 5 stelle, ex sottosegretario alla Salute nel governo Draghi, ex viceministro alla Salute in quello Conte due) una cosa va riconosciuta: è un uomo di parola. Uno che non si è ricandidato (come aveva detto), che è tornato al suo lavoro di medico (come aveva detto) e uno che le cose le racconta come stanno. Senza sbandierare vessilli politici che, alla fine, specie quando si tratta di questioni come il Covid, lasciano il tempo che trovano. «Le misure prese dal ministro Orazio Schillaci (Sanità, ndr) e dal governo Meloni sono congrue», ammette, «si tratta di un filtro di controllo ai passeggeri che arrivano o transitano in Italia dalla Cina. Però serve una strategia comunitaria, altrimenti non basta».

 

 

 

 

Dottor Sileri, cosa intende? 
«Molti, per arrivare da noi, passeranno in altri sedi europee. Bisogna pensare a una regia comune, come tre anni fa. Ma anche lì, all'inizio, la cosa zoppicò».
Cosa sta succedendo in Cina? 
«C'è un'importante crescita dei contagi in un Paese che ha inseguito una politica, quella dello "zero Covid", completamente sbagliata. In Cina non hanno usato i vaccini a mRna, la stragrande maggioranza della popolazione non si è vaccinata e parliamo di 1,4 miliardi di persone. Stanno vivendo, oggi, quello che noi abbiamo vissuto nel 2020. Un sovraccarico ospedaliero, un numero importanti di morti e la possibilità che si generino nuove varianti. Questo è l'unico punto dolente».
Perché? 
«Le varianti si generano ogni volta che il virus si replica. Più circola e più è possibile che muti. In Cina circola tantissimo. Però gliela faccio io una domanda. Posso?».
Prego. 
«Davvero ogni variante deve essere peggiore di quelle precedenti?».
Be', se scorriamo gli ultimi due anni sembrerebbe il contrario... 
«Appunto. A ora non è successo. Precisato che nessuno può dirlo, è poco probabile che si generi una variante del tutto diversa dal virus attuale e che sia in grado di mettere in crisi il nostro sistema immunitario che, invece, abbiamo educato».

 

 

 


Ieri la premier Giorgia Meloni ha specificato che i primi quindici tamponi effettuati all'aeroporto di Malpensa sui passeggeri provenienti da Pechino hanno confermato varianti della specie di Omicron, che già circolavano anche da noi... 
«È quello che sto dicendo. Verosimilmente si riscontrerà una variante figlia della famiglia Omicron, è difficile pensare che ci sarà un cambiamento radicale del virus».
È già qualcosa, per due giorni ci è sembrato di rivedere le scene di quel maledetto febbraio. Ora cosa deve fare il governo? 
«I tamponi a chi arriva sono fondamentali. Poi è necessario aumentare, come sta accadendo, i finanziamenti per il sequenziamento. Il nostro compito è vigilare e dovremmo farlo anche nei prossimi anni: queste varianti entreranno di diritto nelle nostre vaccinazioni antinfluenzali, un po' come adesso il tetravalente. Però, mi perdoni, anche qui vale lo stesso discorso».
Cioè?
«Deve essere una strategia mondiale. Io non ricordo nessuna variante nata in Italia, non tra quelle che hanno presoil sopravvento. Noi le abbiamo importate tutte. Ogni Paese dovrebbe implementare il sistema di ricerca al fine di trasmettere le informazioni il più rapidamente possibile e innescare un processo di valutazione anche sui vaccini presenti, per capire se sono ancora validi». Cito Meloni: «Sì a controlli, ma no a privazione della libertà».
Cosa ne pensa?
«Oggi non serve più, non siamo in quella fase. Lockdown o obblighi come li avviamo avuti nel 2020 non sono più necessari».
Eppure l'ex ministro alla Sanità Roberto Speranza, Articolo Uno, ha detto che «la strategia di Meloni di far finta che il Covid non esiste più è fallita». È sbagliato buttarla in politica?
«Io non l'ho mai fatto. Credo che negli ultimi mesi sia stata persa di vista la campagna vaccinale, ma è una responsabilità di tutti. Ci sono state le elezioni, la guerra in Ucraina, la crisi energetica... Tra l'altro non è molto diverso da ciò che succedeva prima, quando il 50% degli ultra 65enni si vaccinava per l'influenza. Questo, semmai, è un problema culturale. Non voglio etichettare nessun governo come "no-Vax"».

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