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FdI, cambio ai vertici: dove va Donzelli

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Brunella Bolloli
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Via il “rampelliano” dentro il fedelissimo. C’è tensione in Fratelli d’Italia dopo la decisione della leader Giorgia Meloni di commissariare la federazione romana, feudo di Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati, già mentore della presidente e storico capo del gruppo dei “Gabbiani”, l’unica corrente rimasta nel partito, peraltro fortissima. Domenica, mentre la premier era in Algeria a trattare delicati accordi sul gas, al teatro Brancaccio di Roma i candidati del gruppo hanno radunato amici ed attivisti per una kermesse in vista delle Regionali: in sala oltre mille persone ad applaudire; sul palco, oltre a Francesco Rocca, in corsa per la poltrona di governatore del Lazio, i candidati Fabrizio Ghera e Marika Rotondi a illustrare il loro programma. L’evento è stato accompagnato da musiche, violini e gag del comico Maurizio Battista, eppure, passate le risate, il giorno dopo si è consumato lo scontro tra le varie anime del partito.

 

NERO SU BIANCO
Meloni, avvertita dai suoi della manifestazione convocata a sostegno solo di alcuni candidati, tornata in Italia ha preso carta e penna e ha scritto una missiva molto dura al segretario romano di Fdi, Maurizio Milani, parlamentare vicinissimo a Rampelli, dicendogli praticamente che il suo compito era finito. Arrivederci e grazie. Con un’altra lettera ha quindi nominato commissario Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia nonché suo braccio destro, insistendo sui concetti di «terzietà», «fiducia» e «interesse del partito e della sua crescita». «Caro Giovanni», ha aggiunto, «ti auguro buon lavoro».




A Milani, in sintesi, il vertice di via della Scrofa imputa di non essere stato imparziale. Di essersi speso per la manifestazione del Brancaccio, peggio: di avere caldeggiato la partecipazione dei simpatizzanti usando la mail della federazione e non la sua personale: insomma, di avere esplicitamente giocato a favore dei Gabbiani senza magari avere mostrato altrettanto zelo per gli altri consiglieri della Pisana. Milani, ovviamente, smentisce le ricostruzioni, parla di «fulmine a ciel sereno», di «provvedimento inaspettato» e invita Giorgia a ripensarci. Ghera, uno dei recordman di preferenze nel Lazio, sostiene che la kermesse è stata organizzata da lui e a giudicare dai messaggini che ha mandato in giro ci sarebbe da crederci, del resto siamo in campagna elettorale.


Ma può un evento teatrale, realizzato nella Capitale a tre settimane dal voto, scatenare una tale fibrillazione nel principale partito italiano? Può lo schieramento della premier, vincente in tutti i sondaggi e in genere compatto come una testuggine, trasformarsi nel giro di 24 ore quasi in una copia del Pd logorato dalle correnti e in disaccordo perfino su come fare le primarie? Noi crediamo di no. Infatti, sebbene pochi abbiano voglia di commentare la situazione, qualcuno ammette che il clima è pesante da un po’. Da «guerra fredda». Sotto accusa, in particolare, c’è la gestione romana del partito, cioè i rampelliani. Per il “cerchio magico” meloniano sarebbero troppo accentratori, non coinvolgerebbero abbastanza gli altri e anche sulle nomine ci sarebbero stati screzi. I rumors del Parlamento sostengono che sul famigerato emendamento in materia di balneari (poi ritirato da Fdi), gli uomini e le donne vicini al vicepresidente della Camera, avrebbero messo in difficoltà il resto della maggioranza e di recente una intervista sul Fatto quotidiano in tema di Autonomia, cavallo di battaglia della Lega, ha creato qualche problemino al centrodestra sebbene Rampelli abbia poi rettificato il titolo definendolo «fuorviante».


Insomma, la ruggine non è certo questione di domenica, tanto più che il deus ex machina della storica sezione di Colle Oppio qualche motivo di delusione ce l’avrebbe pure: per la corsa al Campidoglio gli hanno preferito lo sconfitto Enrico Michetti, al governo non l’hanno voluto e per la guida della Regione gli hanno preferito Francesco Rocca nonostante fosse nella rosa della vigilia. Ieri, rompendo il silenzio, l’ex mentore ha dichiarato di non avere ruoli commissariabili e di avere letto «notizie false» in merito all’appuntamento del Brancaccio. Con una lunga nota ha ribadito pieno sostegno a Rocca citando «l’enorme capacità di mobilitazione dei candidati» sul territorio. Per poi concludere: «Sono convinto che un partito serio e strutturato come il nostro accerterà i fatti e reintegrerà Milani quanto prima vista peraltro», ha buttato là, «una certa disinvoltura con cui altre federazioni in Italia gestiscono il rapporto tra candidati e partito». Non sappiamo se tra i due, Meloni e Rampelli, sia previsto un chiarimento a breve. Di sicuro il coordinatore regionale Paolo Trancassini sta provando a spegnere l’incendio che darà materia alle moribonde opposizioni per risollevare la testa. Ieri, intanto, al primo confronto tv tra i 5 candidati per la Regione, Rocca non c’era. In tutti i sondaggi è avanti rispetto allo sfidante dem Alessio D’Amato. 

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