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Giuseppe Conte, fucilata al grillino: "Niente processo, ma calci nel sedere fino a..."

Iuri Maria Prado
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Quel che han fatto Conte e i suoi sodali durante la pandemia non è da processo: è da prenderli democraticamente a calci nel sedere fino a spingerli dove non possono più fare danni. Quest’inchiesta giudiziaria - che per origine, per tempi e per contenuti lascia a dir poco perplessi - non può rendere ragione degli atti e dei comportamenti gravissimi e palesi, che non abbisognano di nessun accertamento, di cui si è resa colpevole quella compagnia di pericolosi devastatori.

È incancellabile e grida ancora vendetta quel che fecero all’inizio con le mascherine, mandando in televisione “la scienza”, cioè la virologia tabloid, a dire che non servivano: e non perché non si sapesse che invece erano un presidio fondamentale, ma perché non ne avevano stoccate a sufficienza mentre il damerino in pochette assicurava che eravamo “prontissimi” ad affrontare l’assalto del virus. Le medesime mascherine che da superflue - appunto perché non se ne erano approvvigionati, non perché non servivano - diventavano invece un armamento d’uso imperativo anche per portare la spazzatura nel bidone alle tre di notte, con multe da levare la pelle ai trasgressori di quei protocolli pazzoidi. E la caccia agli “irresponsabili”, ce la ricordiamo? Ce lo ricordiamo il ministro degli Esteri e dei Gilet Gialli, Di Maio?

Era quello che dopo l’abolizione della povertà intimava ai sudditi di stare in riga perché «più qualcuno sarà irresponsabile, più metteremo altre norme ferree e stringenti», con gli elicotteri democratici a perlustrare l’Idroscalo di Milano e i tetti di Palermo alla ricerca dei criminali che facevano grigliate negazioniste mentre il ministro della Delazione, Speranza, istigava i cittadini a denunciare i vicini di casa che organizzavano la cena insubordinata con il cugino di troppo. Speranza, quello che rivendicava di agire «in totale trasparenza» e intanto il governo teneva secretati i verbali del comitato tecnico scientifico, e bisognava che dei cittadini gli facessero causa due volte per farglieli tirare fuori perché da lì emergeva chiaramente che andavano a casaccio, che dicevano bugie, che sottacevano la verità sui numeri dei contagi, sulla situazione delle terapie intensive, sui dati in base ai quali non erano prese le decisioni da prendere ed erano assunte quelle sbagliate, insomma un’immensa, intenzionale, gravissima opera di malgoverno coperta dalla propaganda delle conferenza stampa che annunciavano all’Italia sequestrata in casa che «ne usciremo migliori».

E tutto questo schifo, questo andazzo venezuelan-mediterraneo che assolveva le inefficienze del potere pubblico mentre si incarogniva sul runner in corsa tra i filari di pannocchie e sui fedeli in chiesa fatti sloggiare dai militari, trionfava nella confezione a grappolo dei decreti personali del presidente del Consiglio che, senza vaglio parlamentare e senza nessun motivo effettivamente connesso alle esigenze sanitarie, abbattevano una per una le libertà fondamentali dei cittadini. Non c’è da processarli. C’è da sperare che il Paese sia abbastanza saggio da tenerli alla larga.

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