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Cutro, Mimmo Lucano a capo del corteo: la faccia tosta della sinistra

Francesco Specchia
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Ma com’è umano, Mimmo Lucano. La lunga processione verso un Golgota immaginario si snoda nella Cutro avvolta nel dolore eppure assediata da associazioni, partitini, sindacati, movimentini che quel dolore hanno inchiodato a un crocefisso. E il crocefisso, fatto con le assi e la chiglia della nave naufragata, è costellato da bandiere rosse della Cgil e da vessilli arcobaleno; e viene issato da un gruppo di sindaci compagni fuori sincrono con la realtà (il cartello «Fermate la strage subito» viene sfoderato proprio nel momento in cui la Guardia costiera ha appena tratto in salvo 1500 migranti). E alla testa di questi contriti compagni, ecco la notizia vera: ecco che svetta, in cappellino e favella tagliente, Mimmo Lucano. Lucano, il redivivo, si muove a braccetto di microfoni e telecamere. Accarezza il legno del relitto e sussurra: «Questa croce è il simbolo della sofferenza oggi. È istintivo essere qui. C’è una piccola comunità a Riace che è rimasta sconvolta. Certe volte ci penso e mi vergogno di essere un cittadino occidentale. Quando ci sono queste fasi emergenziali, le comunità calabresi sono scosse e prevale subito quello spirito di solidarietà che non dimostra il governo». E poi, contrito, continua Lucano: «Mi viene da ridere, non ho reticenza a dirlo, il vero unico obbiettivo di questo governo è di salvare se stesso». Salvare se stesso.

 

 

 


Un discorso che sarebbe rispettoso della circostanza, e perfino delle intemerate politiche dell’opposizione, se non fosse che a farlo è Lucano. Mimmo Lucano, ragazzi. Ossia l’ex sindaco di Riace condannato a 13 anni di carcere - il doppio rispetto a quanto richiesto dalla pubblico accusa - nel processo di primo grado a Locri per sfruttamento dell’immigrazione. L’uomo che secondo i giudici, avrebbe costruito, da «spregiudicato», una vera e propria associazione a delinquere in grado di strumentalizzare il processo di accoglienza. «Lucano, da dominus indiscusso del sodalizio - è scritto nella motivazione della sentenza - ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza dei migranti a beneficio della sua immagine politica» con tanto di cotè di presunte fatture false e «attestati gonfiati e fittizi». Lucano deus ex machina di un sistema che sarebbe stato impostato in anni «per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale». Lucano, ossia il condannato in primo grado per il quale, in secondo grado, è stato richiesto dai pm un piccolo sconto di pena a 10 anni e 5 mesi; e che conoscerà il suo destino nelle prossime udienze, tra fine marzo e inizio aprile. Lucano, che i suoi concittadini non hanno rieletto nonostante il suo «modello di integrazione studiato in tutt’Europa» come vantavano a sinistra, trattandolo con la deferenza degli eroi. Ecco, quel Lucano lì regge la croce.

 

 

 

 

SEMPRE GARANTISTI

Ora, al netto di un imprescindibile garantismo, Domenico Lucano, “Mimmo dei curdi” resta innocente fino a sentenza definitiva. Saranno i magistrati a definire se il suo sia stato uno sbalorditivo accrocchio di delitti o un «reato d’umanità». E saremmo davvero felici se Mimmo, il «migrante al contrario verso la sua terra», fosse innocente. Però. Però c’è un limite anche allo scontro politico e alla sfacciataggine e alla decenza. Se si è sotto processo già condannati per uso improprio di migranti, be’, mettersi alla testa di una (legittima) manifestazione pro-migranti e attaccare governo e avversari sul tema è più che un delitto, è un errore come diceva Talleyrand. Per dire, le tambureggianti processioni di Soumahoro hanno prodotto l’effetto di riservargli il posto sulla croce... 

 

 

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