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Sinistra in piazza per i gay: la parodia del sabato antifascista

Pietro Senaldi
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Domani Giorgia Meloni sarà ospite d’onore al congresso della Cgil. Il segretario Maurizio Landini prova a fare una Atreju sindacale. Il compagno si sente leader di partito e imita la premier, che l’anno prima vincere le elezioni chiamò sul palco del raduno della destra non pochi avversari, in primis il suo rivale Enrico Letta. La platea post-fascista, come la chiamerebbero il direttore della Stampa, Massimo Giannini, e i suoi accoliti quando sono in buona, accolse il capo dem disciplinatamente. Tutto diverso da ciò che intendono fare la Fiom, che minaccia di boicottare l’appuntamento di domani, e alcuni altri sinceri e democratici antifascisti del sindacato rosso che minacciano contestazioni vibranti.

È la democrazia bellezza, c’è chi la rispetta di più e chi di meno. Non di rado capita poi che chi più la rivendica meno la pratica, se per democrazia si intende anche tolleranza verso chi ha idee diverse e pretende di tradurle in attività politica e in legge grazie al fatto di aver vinto le elezioni, dettaglio trascurabile solo per la sinistra, che spesso si trova a governare anche dopo averle perse. Non è così però a questo giro, ed è proprio questo che fa infuriare i nuovi feticisti di Elly Schlein. Nelle redazioni, quando le notizie latitano e la fantasia scarseggia, circola una battuta, ovverosia che non ci sia nulla di più inedito di una cosa già pubblicata. E allora vai che si rivernicia qualcosa e la si trucca per un’esclusiva. Evidentemente funziona così anche a sinistra. Elly Schlein si spaccia e viene osannata per il nuovo che più nuovo non c’è. Gente che militava nel Pci e scriveva sui giornali quando la giovane leader non era neppure nata, oggi si tira un bel lifting per darsi un’aria da vergine in piazza. Slogan, metodi e piglio però sono sempre gli stessi di sessant’anni fa.

TERZA SFILATA
Non può essere un caso se domani, terzo sabato del primo anno della signora Elly, per la terza volta consecutiva il nuovo popolo della sinistra scende in strada. Due settimane fa lo aveva fatto contro le violenze fasciste davanti a un liceo di Firenze, e guarda il caso proprio quel giorno furono rinviati a giudizio otto estremisti di sinistra per un pestaggio a scuola, notizia ignorata da piazza e stampa rosse. Sabato scorso i compagni protestavano contro il naufragio di Cutro, dopo essere rimasti sottocoperta per tutti i dieci anni di stragi del mare capitate sotto un esecutivo di sinistra. Domani i nuovi dem si agiteranno per i diritti dei genitori omosessuali, minacciati dal governo che pretende che a riconoscerne la paternità sia un giudice, come chiede la legge, e non il sindaco di Milano, Beppe Sala, che non è padre, non è gay, non è parlamentare e non è nemmeno laureato in giurisprudenza.

La parata del sabato anti-fascista è una parodia ormai più che una protesta. «Piazze piene, urne vuote», commentò il leader socialista Pietro Nenni analizzando la sconfitta del fronte popolare delle sinistre all’indomani delle elezioni del 1948. Sono passati 75 anni ma da quelle parti ancora non l’hanno capito e scendono in strada festosi ogni volta che possono contro le destre convinti che porti fortuna. Un altro intelligente, Albert Einstein, sosteneva che la follia è ripetere sempre la medesima azione convinti che porti a un risultato diverso. Le baracconate rosse sortiscono sulla maggioranza degli italiani due effetti: o spaventano e respingono, o annoiano e intristiscono. In ogni caso, portano acqua al secchio di chi è contestato anziché di chi contesta. È quello che si augura domani la Meloni, entrata nella tana del lupo spennato Landini.

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