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La sinistra? È pacifista solo quando le fa comodo

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Dimostranti davanti al consolato di Istanbul sventolano la bandiera palestinese

Iuri Maria Prado
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Le istanze umanitarie che insorgono a ogni fiammata del conflitto arabo-israeliano, perlopiù in consorzio con la feccia “antifa” impassibile davanti ai festeggiamenti per l’assassinio deliberato dei civili nelle strade di Tel Aviv o alle fermate degli autobus a Gerusalemme, si fondano su nobilissime attenzioni ai diritti calpestati dallo Stato ebraico. Tanto di cappello, come si dice. Quelle sensibilità, verosimilmente, si ispirano alla tradizione del mondo circostante a quel piccolo regno del sopruso: la libertà di stampa in Siria, la parità di genere in Kuwait,i diritti sindacali in Giordania, le normative gay friendly in Egitto.

Deve trattarsi delle stesse sensibilità che denunciano il posto di blocco israeliano un po’ ruvido se un’auto piena di tritolo cerca di sfondarlo e poi si distraggono quando la macchina è un’altra, quella sionista con dentro non le bombe ma due sorelle adolescenti abbattute a fucilate.



Le stesse sensibilità che si fanno latitanti quando un giovane omosessuale palestinese è decapitato a Hebron: perché va difeso il diritto dei ragazzi palestinesi di tirare sassi e imbracciare il fucile contro gli ebrei, non quello di essere gay senza perciò essere fatti a pezzi dagli arabi. La sinistra che reclama pace e diritti civili è la più specializzata in queste curiose ambivalenze, con la gioventù palestinese da sottrarre al giogo israeliano e da affidare alle cure di chi la istruisce a farsi esplodere nei bar e davanti alle sinagoghe del regime giudaico-segregazionista, secondo la definizione che di Israele offre in prima serata il nostro intrattenimento democratico. La pace del Kalashnikov e i diritti della Sharia, levando di mezzo Israele che è di ostacolo.

 

 

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