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Paola Del Din contro il Pd: "Violenza fascista di chi si dice comunista"

Alberto Busacca
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È stato un lungo 25 aprile, per Giorgia Meloni. Dopo la lettera sulla Liberazione inviata al Corriere della Sera, la sinistra ha fatto la lista della spesa con tutte le altre cose che la leader di Fdi dovrebbe dire per avere finalmente il tesserino di politica veramente democratica. Intanto dovrebbe dichiarare esplicitamente di essere antifascista (lo hanno chiesto più o meno tutti i progressisti), poi dovrebbe «prendere le distanze da quelli che si considerano ancora eredi del fascismo» (parole del sindaco di Milano, Beppe Sala), poi eliminare dal simbolo di Fdi quella fiamma tricolore «che richiama la memoria della nefasta dittatura fascista» (virgolettato del senatore dem Marco Meloni) e poi dovrebbe pure smetterla «di citare le colpe del comunismo quando fa una riflessione sull’antifascismo» (consiglio del sindaco di Firenze, Dario Nardella, che pure ha detto di apprezzare «lo sforzo di favorire la ricerca di una memoria collettiva»).

Insomma, basta poco per capire che secondo i compagni, in particolare quelli del Pd, gli esami per Giorgia Meloni non devono finire mai. Per ogni cosa che dice, i democratici gliene chiedono altre dieci. Con l’obiettivo di tenerla costantemente sotto ricatto...

 

 

 

Questo atteggiamento, però, inizia a stufare anche diversi amici (o quasi-amici) del Pd, che di destra non sono mai stati o che comunque non lo sono più. Partiamo da Giuseppe Conte. Il leader del Movimento Cinque Stelle ha detto chiaramente di aver apprezzato le parole della Meloni sul fascismo, aggiungendo che «non può essere una forza politica che dà legittimazione democratica alle altre». Una frecciata ai semi-alleati del Pd? Sembra proprio così. Almeno su questo, tra l’altro, Conte è d’accordo con Carlo Calenda. «Io credo», ha spiegato il leader di Azione, «che oggi tutti ci riconosciamo nella libertà e tutti riconosciamo che quella libertà nasce con la sconfitta del nazifascismo ad opera degli alleati e della Resistenza.

Forse oggi va fatto uno sforzo da parte di tutti: invece di sottolineare le divisioni cercare di rimetterle insieme».
E Gianfranco Fini? Bè, l’ex leader di Alleanza nazionale era stato letteralmente incensato, dai giornali di sinistra, quando aveva suggerito a Giorgia di prendere definitivamente le distanze dal fascismo. Poi, dopo la missiva sul 25 aprile, parlando col Corriere della Sera, si è detto pienamente soddisfatto: «Di certo il mio invito a definirsi antifascista non è stato accolto alla lettera: nel lessico, non cita l’antifascismo. Ma è stato accolto nella sostanza, nei valori richiamati e nei riferimenti alla destra del dopoguerra. Al riguardo non avevo, per la considerazione che ho del presidente del Consiglio, alcun dubbio». Non è tutto, però. Perché Fini condivide anche «l’auspicio che la celebrazione del 25 aprile non sia più strumentalmente utilizzata per stilare la lista “dei buoni e dei cattivi”, non già, come è giusto, in ragione del giudizio sul fascismo e sulla Resistenza, bensì in ragione della contrapposizione politica tra destra e sinistra».

 

 

Ancora più netto il discorso fatto, in un’intervista alla Stampa, da Letizia Moratti, che pure per Giorgia non sembra avere grandissima simpatia. L’ex sindaco di Milano, in particolare, non si scandalizza se il premier non pronuncia la parola “antifascismo”: «Credo che alla fine si debba andare alla sostanza: se si crede nei valori della libertà e della democrazia, allora non si può essere fascisti. Temo invece che vi sia sempre qualcuno che sia alla ricerca di una prova che questo non sia vero».

«Fratelli d’Italia», ha aggiunto, «ha votato la risoluzione del Parlamento europeo contro tutti i totalitarismi, fascismo compreso. Invece c’è l’impressione che il tema dell’antifascismo sia strumentale. Condivido completamente la lettera della Meloni, l’ho letta e riletta, cita l’amnistia voluta da Togliatti, cita Violante....».

PARTIGIANA - Un invito a guardare avanti è arrivato anche da Paola Del Din, 99 anni, la partigiana citata dalla Meloni. «Ne ho viste tante», si è confidata col Corriere, «con quello che è successo a mio fratello che era giovane, bello, giusto e buono, sentir blaterare in giro mi dà fastidio. Lui è morto proprio dopo essere stato ferito da dei fascisti. Ma vogliamo andare avanti? Se ci fossimo comportati bene il fascismo non sarebbe risorto. E il comunismo che cos’è? È una dittatura anche quella, come il fascismo. A un certo punto come faccio io a non arrabbiarmi quando vedo fare atti di violenza fascista da parte di chi si dice comunista? Siamo lì. Uno è nero e l’altro è rosso, è sempre quello».

Insomma, la Meloni, su questo tema, non sembra assolutamente così isolata come la sinistra vuole far credere. Soprattutto perché ad essersi complimentato per la lettera sul 25 aprile sarebbe stato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella...

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