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Usa, assist a Meloni: Zelensky a Roma, Casa Bianca contro Macron

Renato Farina
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Zelensky aveva una missione. L’America, cioè Biden, lo voleva a tutti i costi in Italia. Dare un colpo a Macron mettendolo in minoranza rispetto ai veri sostenitori della alleanza occidentale. Per questo il tour di Volodomyr: Svezia, Finlandia. Ma soprattutto Italia. Soprattutto Meloni. La missione è andata arci-benissimo. Ha messo Roma al centro del palcoscenico, spingendo Parigi ai confini del gran teatro del mondo. Quanto accaduto ieri ha persino travalicato i confini del gioco geopolitico. È stato un bel vedere.

Zelensky è da un anno e mezzo vestito così, in una mimetica da presidente che comanda una nazione in guerra, verde-grigia come la sua faccia dovunque vada e non ha tempo per cambiarsi la maglietta e aggiustare il volto alla serenità di circostanza. Ieri però qualcosa dev’essere scoccato sotto la divisa di cupezza guerrigliera. Ci sono stati lampi nello sguardo e nel tono della voce, uno zampillare di frasi commosse e liete inusuali. Vallo a sapere cosa c’è sotto, quali contenuti hanno avuto nel dettaglio i colloqui riservati. Però interpretare i segnali di un futuro meno raggelante è possibile. Di sicuro la realtà dei fatti ha reso carta straccia gli scenari di geopolitica confezionati dagli esperti, che prevedevano una parata, tipo incoronazione dire Carlo, per il tornaconto spicciolo dei vari personaggi apparsi sulla scena. Una serie di photo-opportunity.

 

Non saranno state, insomma, le 12 ore che hanno cambiato il mondo, nessun trionfalismo, ma è stato “un giorno importante”. Uno strano ottimismo ha modellato le parole e il volto di Giorgia Meloni, alle 15 e 58 di ieri, a Palazzo Chigi, avendo accanto Volodomyr Zelensky che si stava accomiatando per filare dritto in Vaticano. «Siamo molto contenti che Zelensky vada a incontrare papa Francesco. Conosciamo il forte sentimento d’affetto del Papa per l’Ucraina. Oggiè una giornata importante. E lo ribadiamo ancora una volta: l’Italia c’è. Viva l’Italia, viva l’Ucraina».

LA RADICE
Dice Papa e dice Italia. Dov’è la radice di questa “molta” contentezza? Dove sta l’importanza di quel succedersi di incontri? A chi e a che cosa questo vortice che ha attraversato l’Urbe ha giovato? Sarebbero state formule sprecate, un entusiasmo di plastica, una finzione detestabile se la nostra premier si fosse riferita a qualcosa di meno che al caso serio che grava sul mondo: guerra e pace. Una giornata importante perché c’è uno spiraglio di pace. Questo non è azzardato sostenere sia il bilancio di questo passaggio a Sud-Ovest di Zelensky. Un buchetto nel muro di piombo.

È un dovere minimizzare, ma è sbagliato spegnere il lumicino: il morale dei popoli è importante. Come aveva detto Winston Churchill nel celebre discorso alla Mansion House del 10 novembre 1942: «Non è neanche l’inizio della fine. Ma è, forse, la fine dell’inizio». Insomma questa vuole essere la cronaca di com’è cresciuto un germoglio di speranza, quasi un fiore spuntato tra i sampietrini, un po’ per caso, un po’ perché Roma è Roma, ma soprattutto perché in questi giorni il Papa e Meloni, con l’accordo di Mattarella, ne hanno gettato il seme, e hanno impedito fosse schiacciato dai guastatori interni ed esterni che preferiscono che la guerra continui a imperversare piuttosto che sia un governo italiano di centodestra di concerto con la Santa Sede a procurare occasioni decisive per far cessare questa follia. Venerdì Bergoglio e Meloni si sono incontrati. Hanno mostrato una formidabile intesa sulle fondamenta di una vita buona, sul desiderio di pace.

Giorgia ha voluto fortemente la visita di Zelensky e ha fatto in modo che avvenisse nel barbaglio di luce di questa visibile concordia con Francesco. Siamo in grado di dire che in queste settimane è stata costruita una sorta di alleanza tra Italia e Santa Sede. Come tutte le alleanze che vogliano funzionare non rubano l’identità del partner, hanno identico scopo, accettano la differenza, per convergere sul risultato. Per far questo occorre una corrispondenza affettiva, un’amicizia più profonda del protocollo.

DETERMINAZIONE
Meloni ha preparato l’incontro di Zelensky con il Papa, acquisendo totale credibilità. Ha circostanziato luogo, tempo di questo fatto, che non è un’opinione, ma determinazione politica: «Da qui oggiesce un messaggio chiaro e semplice: il futuro dell’Ucraina è di pace e libertà ed è un futuro europeo e non ci sono altre soluzioni possibili per questa vicenda. Sono convinta che l’Ucraina vincerà e rinascerà più forte e rigogliosa di prima». Il modo: «La nostra nazione continuerà a fornire assistenza bilaterale e multilaterale e ci sarà la nostra convinta adesione agli accordi per l’applicazione delle sanzioni e il nostro sostegno alla pace, purché sia una pace giusta. Non siamo così ipocriti da chiamare pace qualsiasi cosa che possa somigliare a un’invasione. No a nessuna pace ingiusta, imposta all’Ucraina. Qualsiasi accordo di pace dovrà essere condiviso dal popolo ucraino e l’Italia contribuirà a questa direzione». Subito dopo ha invitato la Russia «a fermare l'aggressione e a ritirare le truppe. Siamo favorevoli ad una soluzione diplomatica del conflitto».

Soluzione diplomatica. In questo momento, pare incredibile, ma tutti i leader dei Paesi vogliono porre fine a questa ecatombe. Biden dà armi e denaro e perde consensi più la guerra si protrae. Zelensky ha posto le premesse per la pace purificando radicalmente servizi segreti, esercito, e amministrazione dello Stato dalle infiltrazioni russe. Male perdite sono ingenti, e comprende che c’è stanchezza di leader e popoli nel dar man forte a Kiev. È preoccupato della occupazione dell’economia da parte della mafia cinese. Vuole trattative, ma non lo dice. Chiede pubblicamente al Papa di dichiarare che Mosca è l’aggressore, ma sa bene che questo Francesco l'ha già manifestato condividendo la sofferenza del popolo ucraino.

Ma deve praticare una imparzialità attiva, poter dialogare anche con Barabba, senza dargli dell’assassino. C'erano il crocifisso e la Madonna di Lujan nella piccola stanza dell'incontro che tutti pensavano non si sarebbe messo bene. A Porta a porta si è visto un altro Zelensky, ha tolto la corazza degli slogan dai suoi discorsi. Si è percepito il dolore per il sangue sparso dalla sua gente. Ha detto: «È importante finire la guerra in Ucraina, mettere il punto. Putin porta l’aggressione. Noi non vogliamo vivere nel caos». Previsioni degli analisti la riducevano a una infiocchettata faccenda di relazioni tra leader che si capiscono, stanno dalla stessa parte, aiutando la popolarità di Meloni in Italia e nel mondo, e di Zelensky in Ucraina e in Italia; quanto alla visita di Zelensky al Papa diciamo che non poteva non esserci, sarebbe stata la tremenda notizia se non ci fosse stata, ma nel caso sarebbe stata una finzione tra gente di mondo. Invece la trattativa per la pace non è un bluff, c’è. Francesco e Meloni stanno coltivando quel germoglio.

 

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