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Berlusconi, Sallusti: chi era, cosa lascia e l'unica volta che si irritò con me

Alessandro Sallusti
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Le bandiere a mezz’asta e i funerali di Stato dicono che la morte di Silvio Berlusconi è un lutto nazionale ma la concordia nazionale è altra cosa. Non illudiamoci che i non pochi Caino che in ogni campo l’hanno perseguitato in vita si pentano o lo risparmino in morte, ne va della loro sopravvivenza. Mi riferisco a quella generazione di giornalisti, intellettuali, politici e magistrati che ha costruito le sue misere fortune sull’antiberlusconismo fazioso, ad personam, e ora si ritrovano orfani più di quanto lo sia il popolo berlusconiano. Certo, via un nemico se ne può costruire un altro, ma certe vette di violenza mediatica e giudiziaria saranno difficili da eguagliare per cui il fantasma di Berlusconi continuerà ad aleggiare a lungo sul Paese e più di un indizio lo si può trovare già in queste prime ore post mortem.

Silvio Berlusconi, me lo confessò lui stesso, non si dava pace di non essere percepito da tutti “per tutti e di tutti”, chiaro indice della lucida follia che lo faceva vivere sì con realismo ma mai dentro la realtà, non come ci stanno anche i più bravi fra noi. Da qui il suo serafico stupore di fronte agli attacchi e alle inchieste: «Ma che ho fatto di male? In vita mia non farei mai male a nessuno, neppure al mio peggior nemico», ripeteva ai suoi interlocutori preoccupati dalle difficoltà. Qualcuno ieri mi ha chiesto: chi era Berlusconi? Tante cose, ma in primis era la sua famiglia. Strano no, per uno che di famiglie ne ha avute più d’una?

 

No, per niente: l’ho visto commuoversi solo quando capitava di parlare di mamma Rosa, l’ho visto felice davvero solo sotto Natale quando mi portava a vedere in anteprima nel salone di Arcore la tavola imbandita già da giorni perla schiera di figli e nipoti con già i regali assegnati come segnaposto, l’ho visto preoccupato davvero solo nei giorni in cui il fratello Paolo stava attraversando un brutto momento di salute, davvero triste quando è morto il suo amico Ennio Doris, uno appunto di famiglia. Già, perché Silvio Berlusconi era l’esatto opposto del Caimano descritto dalla propaganda, inguaribile ottimista certamente ma non saprei dire quanto felice al di fuori delle sue due passioni vere, oltre la famiglia il Milan. 

Certamente non era un uomo autoritario, non lo ho mai sentito dare un ordine perentorio, la sua arma era il convincimento sia stesse parlando con un cameriere che con capi di stato e suoi pari. Un giorno – vigilia di Pasqua 2011 io direttore del suo Il Giornale – mi telefonò: «Ho da chiederti un favore». E io: «Mi, dica presidente». E lui: «Se domani per favore non dai seguito al vostro scoop di oggi su Tremonti che mi sta per tradire. Forse, dico forse, riesco a salvare il governo». Replico: «Ma guardi che è vero». Risposta: «Lo so bene, ma lui è furente e minaccia le dimissioni, non possiamo permettercelo, cerca di capire». 

IL PIACERE DI FARE
Girovagando con lui la prima volta nell’enorme parco di Villa Certosa a Porto Cervo capii una cosa fondamentale: Berlusconi non era un uomo molto ricco che comperava cose molto belle. No, le cose belle lui le costruiva personalmente curando ogni dettaglio sia che si trattasse di una villa che di una squadra di calcio, di una azienda come di una pinacoteca e dei suoi averi conosceva storia e dettagli fin nei minimi particolari. Ho visto pochi uomini ricchi vantarsi così poco e ostentare così poco la propria ricchezza e pure goderne così poco. Un giorno gli chiesi: «Presidente, ma perché non se la gode un po’». Risposta: «Il mio piacere sta nel fare le cose e condividerle con chi mi vuole bene». Con me si irritò una sola volta, quando seppe che avevo acquistato al botteghino quattro biglietti settore distinti di Milan-Juve per mio figlio e i suoi amici: «Mi hai offeso», disse «che non accada mai più, tu e la tua famiglia a San Siro dovete essere miei ospiti». Quando seppe di un mio nuovo fidanzamento tenuto segreto mi raggiunse al telefono: «Stasera tu e la tua compagna siete a cena da me, devo essere il primo a conoscerla». 

 

Silvio il patriarca, in tutti i sensi e con tutti. Nei corridoi di Mediaset si narra che all’inizio di quella avventura il venerdì Berlusconi si facesse dare dall’ufficio persona le l’elenco dei dipendenti ricoverati in ospedale e passasse il sabato a fargli visita. Non stento a crederci se è vero, come è vero, che gli anziani lo amano ancora oggi come un padre. Nonostante fosse a capo di un impero con migliaia di dipendenti una parola non faceva parte del suo vocabolario: licenziamento. Neppure nei momenti di difficoltà un suo dipendente è mai stato messo alla por ta e sono testimone del suo veto a sfoltire a forza la redazione del suo Il Giornale che come tutti i quotidiani da anni non naviga in acque facili. 

LA CERTEZZA
Si dice: morto un Papa se ne fa un altro. Ecco, ciò che vale per un Papa o per un Re non vale per Silvio Berlusconi: morto lui non ci sarà un altro Silvio in carne ed ossa, alcune cose potranno cambiare ma nulla di ciò che ha costruito muore con lui, questa è un’altra certezza. Non le aziende, non il suo partito, soprattutto non il progetto politico di unire tutte le forze popolari, cattoliche, liberali e conservatrici sotto un unico ombrello prova ne è che il centro destra da lui immaginato e creato è saldamente al governo del Paese e in ottime mani. 

Giorgia Meloni, come Matteo Salvini e Antonio Tajani camminano ovviamente e ormai da tempo con le proprie gambe, ci mancherebbe altro. E questo, che piaccia o no alle terze e quarte fila di una politica oggi impaurita, è la grande eredi tà che Berlusconi lascia a questo Paese. Non prevedo sconquassi, non sarebbe logico né utile a nessuno, soprattutto non sarebbe ri conoscente e rispettoso per chi in un modo o nell’altro ha portato tutti fino a lì dove sono. Ieri il Paese ha perso un suo grande leader ma non dimentichiamo che dei figli hanno perso un padre, dei nipoti un nonno, un fratello un fratello. A loro, a nome di tutti voi, il nostro caloroso e sincero abbraccio certi, conoscendone alcuni, che sapranno essere all’altezza di tanto padre che, come amava scherzare, a quest’ora starà certamente riorganizzando il Paradiso e brindando con mamma Rosa. Grazie di tut to, Presidente.

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