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Maurizio Landini sfriziona: più soldi in busta paga? Lui protesta in piazza

Francesco Specchia
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Come il “dottor No” dei film di James Bond, il “Mister No” dei fumetti Sergio Bonelli e il “signor No” - il temibile notaio che nei quiz televisivi stroncava ogni velleità di Mike Bongiorno - Maurizio Landini ha fatto della tendenza al dissenso una ragione di vita. Landini è ossessionato dal rifiuto preconcetto. Non è stato sempre così. Ai bei tempi della Fiom, a volte Maurizio pareva il Peppone di Guareschi in salopette: si fermava al bancone delle salamelle; sganciava due-tre battute; e, alzando il pugno chiuso, sorrideva, perfino. Ma, da quando è il gran capo delle Cgil, be’, Landini indossa la cravatta; s’è incupito, è perennemente inca***o.

Anche senza motivo. Forse è una questione contrattuale. Forse. Prendete, per esempio, il suo illivorito annuncio di scendere in piazza sabato 24 a Roma, stavolta per «la difesa e il rafforzamento delle sanità pubblica»; ma, a ben vedere, anche per i contratti pubblici, il Pnrr, l’autonomia differenziata e altro. Un annuncio legittimo il suo, per carità.Ma ribadito, guarda caso, proprio nel giorno in cui il governo ha presentato un emendamento alla delega fiscale per detassare le tredicesime dei lavoratori dipendenti, bloccando però la flat tax incrementale promessa in campagna elettorale. Cioè: niente flat tax, arriva la detassazione delle tredicesime, al 15%. Esattamente come voleva Landini.
 

 

L’ENNESIMO TAVOLO
Ma, niente. Maurizio non ci sente, oramai il sindacato la manifestazione di sabato l’ha già organizzata. Hanno già stampato gl’inviti. Disdire pare brutto. Perfino sulla sanità - dove Landini ha qualche ragione - il ministro preposto lo rassicura sull’aumento del Fondo sanitario («abbiamo distribuito 136 miliardi, cifra più alta mai distribuita.Bisognaincrementarloma anche assicurarsi che le Regioni lo spendano meglio, bene», dice giustamente Schillaci), sull’aumento degli stipendi dei medici e sul reclutamento di infermieri dall’estero. Landini si siede al tavolo –l’ennesimo tavolo- pare ascoltare, ma dopo dondola il testone. Nulla, si va comunque in piazza. Stessa identica postura il 7 maggio scorso: Landini scende in piazza «contro il precariato». Ma lo fa nell’esatto momento in cui l’Istat certifica l’occupazione al 61%, al massimo storico in Italia, con l’84% dei contratti a tempo indeterminato e con il traino (per la prima volta) del lavoro femminile con 52mila nuovi contratti in un mese. Eppure, nulla.

 


Landini soffre talmente l’impellenza di scendere in piazza che il 17 marzo 2023 –dopo che la Meloni snobba il salario minimo perché «abbiamo la contrattazione collettiva migliore al mondo», cioè quella degli stessi sindacati- si trova spiazzato. Epperò, trova una formula, «salario minimo ma con la legge sulla rappresentanza» che è un ossimoro astrale valido solo per lui e non per la Cisl e la Uil; ma che, al tempo stesso, gli consente di tenersi buona la Schlein, incornare la Meloni e scendere in piazza. Ancora una volta. Gli uomini di Landini sono come i milanesi dei romanzi di Scerbanenco: quelli ammazzavano il sabato, questi il sabato scendono in piazza. È un riflesso inconscio, un automatismo di lunga gittata.

E quando non scende in piazza, Landini rilascia interviste per annunciare che scenderà in piazza. Per dire, nel novembre dell’anno scorso al Corriere della sera dichiarò, a proposito dei famosi «fringe benefit in busta paga», ossia sull’innalzamento a 3mila euro della soglia esentasse dei premi aziendali contenuti nel nuovo Ddl Aiuti: «Per chi lavora c’è solo l’aumento a 3 mila euro dei fringe che però è nella discrezionalità dell’impresa: inviteremo categorie e Rsu ad avanzare richieste nei luoghi di lavoro perché questa somma vada a tutti i lavoratori». Cioè: le imprese private caccino i soldi per tutti i lavoratori, in un indistinto –secondo il sindacalista- rigurgito di democrazia. Solo la settimana prima il segretario Cgil era sceso in piazza spiegando al mondo la necessità di dilatare il reddito di cittadinanza oltre l’impossibile, al grido di «è giusto rifiutare lavoro sgraditi!» (e non si riferiva alla Cgil). E, prima ancora, Landini aveva invocato una «norma che aumenti il netto in busta paga», ma senza spiegare tecnicamente come farlo.

COME CROZZA
Prima ancora ancora, il sindacalista si era prodotto in un’affermazione entrata negli annali e, d’ufficio, nel repertorio satirico dell’imitazione resagli in tv da Maurizio Crozza: «I femminicidi sono colpa delle proprietà privata». Una puttanata micidiale che -unica spiegazione- aveva trovato la sua genesi nella propensione automatica di Landini all’esproprio proletario marxista. Ma tant’è. Il «signor No» torna per l’ennesima volta in piazza, contro la Meloni e contro il buonsenso, svilendo inesorabilmente, di pregiudizio in pregiudizio, di corteo in corteo, la sacralità delle piazza stessa. Se i “no” aiutano a crescere, be’, Landini oramai è un gigante ... 

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