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Marina e Paolo Berlusconi? Ghisleri: "Ecco la loro scelta"

 Alessandra Ghisleri

Francesco Specchia
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Un sussurro s’ode dal ventre della nazione. Alessandra Ghisleri direttrice di Euromedia Research, di professione oracolo, analizzando le viscere elettorali d’Italia fotografa il momento dei partiti usando i sondaggi come aruspici. È una fotografia in movimento: la scomparsa di Berlusconi continua a stravolgere la visuale della politica.

Cara Ghisleri, stavolta i dati statistici indicherebbero una flessione dei Giorgia Meloni e del suo partito. Almeno così li sventolano gli avversari. È così o il declino meloniano annunciato dalla Schlein è largamente esagerato?
«Be’, i sondaggi sono in calo per la Meloni fino a un certo punto: solo il - 0.4% %, con il 28,8%, non è un’esagerazione ed è determinato da vari fattori. Primo fra tutti, appunto, la morte di Berlusconi che ha fatto schizzare Forza Italia fino al 9,5% (+2,5 in una settimana)».

Meloni mantiene la sua autorevolezza?
«Meloni resta apprezzata per la sua spinta a voler fare bene. Si è resa conto che, una volta al governo, la visione diventa internazionale, che va oltre il gioco della campagna elettorale. Vuol cambiare il racconto del Paese. Il vero tema è che proprio sull’immigrazione, per esempio, ora si sta muovendo per raccogliere qualcosa con Macron. Guadagna sul consenso personale 1,8%, e torna sopra il 40%, e il secondo è Salvini col 26,2%, una distanza di 15 punti. Meloni come capo ha oneri e onori. Rimane un precettore di fiducia trasversale col 98% dei consensi tra i suoi».

Perché il 98% e non il 100%? Fratelli d’Italia ha un 2% di franchi tiratori perpetui e non se ne sono accorti?
«È la stessa domanda che mi faceva Berlusconi sul suo 75%: e il restante 25% dove va? La verità è che sia fisiologico che nessun leader abbia mai la fiducia assoluta».

Forza Italia si gonfia come un soufflé. L’uscita di scena del leader ha causato quel che fra voi sondaggisti chiamate “l’effetto-Berlinguer”?
«Sì. Ma con la differenza che qua non siamo a cavallo delle elezioni. Qua devono tenere in vita questo vantaggio. Dipende da come se la gestiscono. L’imprinting del partito resta quello berlusconiano, ma devono trovare una soluzione che faccia emergere un candidato idoneo e motivato. L’”effetto B.”, poi, si è spalmato su tutti partiti: la Lega, all’8,7% perde -0.3%...».

Tra gli azzurri, si ventilava l’idea di candidare al posto di Silvio, Paolo Berlusconi, o Marina, o uno della famiglia per assicurare “continuità”. Potrebbe funzionare per l’elettorato?
«Mah. Dichiarare un erede li può mettere in difficoltà, perché l’88,3% dell’elettorato italiano non riconosce che esiste un erede politico di B; e, di questo, l’87% sono elettori di FI. Si genererebbero dei confronti non necessari e anche antipatici. Che la famiglia rimanga a fianco del partito è già importante così».

 

 

 

 

 

 

Berlusconi, prima del suo ricovero aveva lanciato, a Vittorio Sgarbi, l’idea di un “Partito Repubblicano” all’americana. Praticamente il partito unico. Con a capo la Meloni, ad occhio. Potrebbe essere una prospettiva a medio termine?
«Non conviene a nessuno, ora, il partito unico. Primo: perché le somme algebriche in politica non hanno mai funzionato. Secondo: perché proprio adesso che hai la possibilità di costruirti un’anima – lo dico a Forza Italia - è un po’ assurdo farsi assorbire, diciamo, da un’altra anima più grande che, tra l’altro, non ti appartiene».

Quali altri elementi, di ’sti tempi, influiscono sul ranking dei sondaggi? Cosa deve temere il governo?
«Be’, c’è il Pnrr: la percezione della gente è che se ne parli tanto e si faccia poco. E che la colpa non sia nello specifico della Meloni; ma, in questo momento, è lei che comanda e ne è responsabile. Per capirci. Alla domanda se sia d’accordo sull’emendamento del governo che blocca il controllo concomitante sul Pnrr da parte della Corte dei Conti, il 45.5% degl’intervistati dice “no”, solo il 31,9% lo condivide e di questo solo il 35% vota Lega. Non è un caso che il Pnrr sia entrato, a forza di parlarne, a metà della top ten delle preoccupazioni degli italiani».

Cioè mi sta dicendo che sul Pnrr il governo potrebbe davvero saltare?
«Dico che è la percezione. Anche se, alla fine della fiera, pochi capiscono in che cosa consistano i controlli dei giudici contabili e invocano il commissario, ma non hanno contezza temporale né delle opere da fare. Né che cosa stia facendo l’attuale ministro preposto. La maggior parte di loro non sa di cosa si sta parlando, ma voglio una figura di sostegno. Fitto è visto come quello che la questua di ministero in ministero, ma anche come quello che può risolvere il problema».

Strana questa inconfessata, voglia di commissariamento.
«Sì. C’è una voglia diffusa di un garante (Mattarello ha ancora il 60% della fiducia) che faccia da corpo intermedio tra i ministeri e i cittadini, e risolva le situazioni in tempi rapidi: il modello è quello del Ponte Morandi a Genova. Vale anche per il Mes».

Sul Mes le posizioni sono arabeschi nel cielo. Ognuno nella maggioranza dice la sua: Salvini per il “No”, Giorgetti per il “Sì”, Meloni per il “Ni”. E quindi...
«Quindi la sensazione dell’elettorato del centrodestra è confidare che si ratifichi».

 

 

 

 

Come dire: i problemi fondamentali sono altri? Tipo il carovita, le tasse che schiacciano, la guerra, robe così?
«Esatto. Nel ranking delle urgenze ci sono l’inflazione che galoppa e il carovita. È come se la gente sentisse che si sta impoverendo. E si è convinta che, ad esempio sulle bollette dell’energia, nonostante i costi della luce si abbassino, i prezzi per noi non tornano più indietro. Poi ci sono le tasse che strozzano, il clima, la sanità. È uscita l’alluvione».

Venendo alle opposizioni. Schlein è sempre in piazza, stringe mani, fa cose, vede gente, incontra Conte, parla di “sinergie”. Ma non si capisce quante divisioni abbia davvero (come diceva Stalin del Papa).
«La Schlein registra il 22,7% di consensi, e il partito è al 21,3%. Il “campo progressista”- come lo definisce Conte - in teoria potrebbe farlo con il M5S che è al 15%. In questo caso, diverrebbero attrattivi per un 40,5% della popolazione. Ora, con le Europee, dato che il voto è proporzionale, si darà da fare per carpire più voti possibile proprio nell’area sinistra-sinistra. Semmai il problema è che le piazze di Schlien e Conte sono quasi sovrapponibili».

Però, scusi, non si presentano mai insieme nei comizi: si limitano, come a Campobasso, ad incontrarsi con Fratoianni nei caffè e a prendere una limonata. Che strategia è?
«Ho detto sovrapponibili ma non del tutto. Infatti alle elezioni del Molise di oggi hanno scelto di fare piazze separate, per raccogliere ciascuno il maggior numero di elettori possibili. Ufficialmente per non sovrapporre le agende».

Ma il Pd non potrebbe tornare ad allargarsi, invece, al Terzo Polo?
«Renzi più Calenda sono al 6/7% ma non è definibile la loro capacità di alleanza e indirizzo verso il centrosinistra così allargato. Invece, soltanto con i Verdi, Sinistra e + Europa al 6,4% il centrosinistra arriva al 25-26%. Ma il problema del Pd è che, mentre nel centrodestra si conoscono i perimetri delle alleanze, da loro le maggioranze sono più facilmente modificabili. Per Schlein è complicatissimo tenere insieme tutto...». 

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