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Pd, escono dall'aula ma si tengono i 300 euro

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Pietro Senaldi
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Trecento euro. La dignità dei deputati del Pd in Commissione Giustizia alla Camera, da Debora Serracchiani e Alessandro Zan in giù, non vale neppure quelli. E sì che l’appannaggio parlamentare, tutto sommato una dozzina di migliaia di euro netti al mese al netto dei privilegi vari, dovrebbe consentire una rinuncia a cuor leggero di sei bigliettoni arancio da 50, se per questioni di principio. Eppure, più che l’onore può la paura del digiuno. Capita infatti che dal febbraio scorso, quando si è scoperto che il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, aveva parlato al suo coinquilino nonché compagno di partito, Giovanni Donzelli dei legami tra i mafiosi condannati al 42 bis e il terrorista anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame in carcere, la delegazione dem in Commissione Giustizia insceni uno sciopero delle presenze. Lo scopo è spingere l’esponente del governo alle dimissioni, per aver rivelato il contenuto di un documento dell’amministrazione penitenziaria attraverso una protesta dalla forte valenza simbolica ma anche in grado di ostacolare i lavori del Parlamento. A scavare un po’, si scopre che la manifestazione di dissenso è più simbolica di quanto un cittadino non malizioso possa pensare.

LO SCIOPERO
Lo sciopero infatti prevede da parte del lavoratore - e i parlamentari questo sono, sia quando stanno in Aula sia quando sono in Commissione -la perdita dell’emolumento. Non così vale per Serracchiani e compagni. Si scopre infatti che, quando in Commissione appare Delmastro, il che avviene due o tre volte a settimana a mesi alternati, la squadra dem marca visita, ma non prima che ciascuno degli onorevoli componenti abbia strisciato il proprio tesserino elettronico all’ingresso, in modo da risultare presenti anche se non ci sono.Alla stregua degli impiegati pubblici, ma questo in sostanza i parlamentari sono, che si segnano al lavoro e poi vanno al bar o che consegnano direttamente il proprio cartoncino al collega, perché lo timbri al loro posto. Il regolamento parlamentare prevede infatti che in Commissione si possa marcare visita una volta su due senza vedere intaccata la propria retribuzione.

CHI DISERTA
Chi salta dal 50 all’80% delle sedute si vede invece decurtata la paga di 300 euro al mese, che arrivano a 500 se si supera la suddetta soglia. Per carità, sono cifre sulle quali nessuno sputa, ma l’emolumento del parlamentare è cospicuo proprio per consentirgli, se non di tenere la schiena dritta, quantomeno di conservare un minimo di coerenza, o comunque di non prendere in giro gli elettori, incassando quattrini per un lavoro che non svolge. Idem disertano la Commissione per far dimettere Delmastro dal govern, in quanto è colpevole di aver detto a un collega di partito cosa si dicono in carcere i boss mafiosi e un terrorista anarchico. Se è una colpa, non riesco a capire quale sia. Vedo invece molto bene le mancanze della Serracchiani e compagni, che dolosamente si fanno pagare per ciò che non fanno. Normalmente nel settore privato questa è una giusta causa di licenziamento. Se i suddetti volessero per una volta equipararsi al popolo che dicono di rappresentare, potrebbero trarre le conseguenze e lasciare il baraccone. Non se ne sentirebbe la mancanza. 

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