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Giorgio Almirante, basta una via e la sinistra va ai matti

Alberto Busacca
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La prefettura dice sì a via Almirante. E da sinistra parte il consueto piagnisteo, condito di balle sull’ex segretario del Msi. Siamo a Grosseto, in Toscana, dove il Comune, nel nome della pacificazione nazionale, vuole dedicare una strada a Giorgio Almirante e una ad Enrico Berlinguer. Non un’idea campata per aria, tra l’altro, visto che i due collaborarono nella difficile lotta contro il terrorismo. Bene, ieri, dalla prefettura, è arrivato il nulla osta necessario: via Almirante si può fare. «È la fine di una polemica strumentalmente ideologica», ha commentato il sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna. Già. Peccato però che per la sinistra non sia la fine di un bel niente, visto che per i compagni la polemica ideologica va avanti anche dopo questa decisione.

L’Anpi (immancabile) ha spiegato che valuterà di ricorrere al Tar. E il responsabile locale Luciano Calì ha commentato: «L’intitolazione di una via ad Almirante costituisce l’ennesima riapertura di una ferita ancora oggi profonda per i tantissimi lutti provocati attraverso il “manifesto della morte” firmato dal gerarca fascista». Ancora più dura la nota del gruppo consiliare Grosseto Città Aperta: «Via Almirante è un omaggio a una figura entrata nella storia per il ruolo avuto nella propaganda razziale, per aver combattuto al servizio dei nazisti, tanto da ricevere l’appellativo di “fucilatore di partigiani” per il bando da lui firmato, e per non aver mai rinnegato il suo essere fascista». Poi la sparata: «Una notizia che, guarda il caso, arriva l’11 settembre, nel cinquantesimo anniversario del colpo di stato in Cile, quando Pinochet rovesciò il governo democratico e istituì quella che sarebbe stata una delle dittature più sanguinarie della storia, ricevendo grande apprezzamento proprio da Almirante».

 


Ora, al di là della forzatura di collegare Almirante col golpe di Pinochet, va detto che l’ex segretario del Msi non «combatteva» per i nazisti (nella Rsi era capo di gabinetto del ministro della Cultura popolare), non ha firmato (visto il suo ruolo) il “manifesto della morte” (come tra l’altro appurato in tribunale) e l’appellativo di “fucilatore di partigiani” gli è stato dato nel Dopoguerra dai suoi avversari pur non avendo lui fucilato nessuno. Poi, caduto il fascismo, è stato per circa vent’anni leader della destra (democratica) e per quarant’anni parlamentare della Repubblica. Ma questo, a sinistra, se lo scordano sempre... 

 

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