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Pd istituzionale? No, anti-italiano (e lo è anche sui migranti)

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Francesco Carella
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Ad osservare i comportamenti della sinistra e ad ascoltare le dichiarazioni dei suoi leader nelle ore drammatiche in cui il numero degli sbarchi fuori controllo sta trasformando Lampedusa in un vero e proprio Lazzaretto, vengono in mente le parole che Augustin Thierry pronunciò nel 1820 a commento delle divisioni politiche che avevano lacerato la Francia negli ultimi trent’anni. «Crediamo – scrive lo storico francese – di essere una nazione, mentre siamo due nazioni sullo stesso territorio. Ostili nei ricordi e inconciliabili nei progetti». Sembra una perfetta descrizione della realtà politica del nostro Paese e della sua storica anomalia caratterizzata da una irriducibile anti-italianità da parte della sinistra.

Nonostante ci si sforzi è difficile trovare un Paese che a fronte di questioni particolarmente difficili da risolvere (l’emergenza immigrati lo è al massimo grado) non reagisca in modo unitario mandando temporaneamente in soffitta le divisioni politiche, peraltro essenziali in condizioni di normalità nella vita di una democrazia liberale. Si tratta di un modo di procedere che si attiva in una fase di eccezionalità storica in nome degli interessi superiori della nazione. In Italia, purtroppo, «lo stato di eccezione» non viene mai riconosciuto da una parte della classe politica, per il semplice motivo che concetti quali appartenenza nazionale e valore della patria non sono mai stati assimilati nella loro profondità e ricchezza. Del resto, come stiamo vedendo proprio in queste ore dopo il viaggio di Giorgia Meloni a Budapest, il solo accenno al senso della patria fa gridare allo scandalo l’intera sinistra politico-culturale.

LE RAGIONI STORICHE
Le ragioni di tale e tanta divisività sono da riportare, per larga parte, agli anni successivi al Secondo conflitto mondiale, allorquando i socialcomunisti si connotano come una forza politica internazionalista (dipendente dal totalitarismo sovietico e difensore degli interessi di Mosca) dando alla tutela delle priorità italiane un’importanza secondaria. Si trattò di una scelta anti-nazionale i cui effetti devastanti, seppure a distanza di decenni e nonostante la fine dell’Urss e la sconfitta definitiva del comunismo, continuano ancora a farsi sentire.

Basti solo pensare al fatto che coloro che credono nella sovranità territoriale dello Stato di diritto e nell’applicazione delle leggi a tutela dei confini statali vengono quotidianamente accusati dall’establishment di sinistra di lavorare, non a difesa della nazione, ma per creare le condizioni di una svolta autoritaria nel Paese. Mentre molte e complicate sono le cose da affrontare per superare l’attuale emergenza immigratoria dai futuri rapporti con i Paesi di provenienza alla necessità che la questione assuma in modo concreto un carattere europeo – sarebbe meglio non dimenticare che «una democrazia funziona non solo se gode di efficienza istituzionale e amministrativa, ma se conta su una forte identificazione da parte dei suoi cittadini e di tutti i suoi rappresentanti». Forse, per l’Italia, è l’ostacolo più difficile da superare.

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