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Giorgio Napolitano, un riformista mancato: molti errori, qualche intuizione

Fabrizio Cicchitto
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Giorgio Napolitano e prima di lui Giuseppe Di Vittorio, Giorgio Amendola, e pochi altri, con i loro nomi esemplificano una storia che avrebbe potuto essere e che non è stata. Quella storia sarebbe potuta consistere nel trapasso graduale dal comunismo italiano al riformismo, di qui alla aggregazione di un forte partito di tipo laburista con L’Unità fra il Psi e il Pci: paradossalmente l’esplosione di Berlusconi e di Forza Italia nel 1994 deriva anche dalla precedente mancanza di un grande partito socialdemocratico e dalla successiva distruzione di Craxi e del Psi attraverso il circo mediatico giudiziario. Togliatti non aveva nulla a che fare con uno sbocco di questo tipo perché egli nel corso della sua vita politica ha combinato cose di segno opposto, tutte avvenute all’insegna dello stalinismo: da un lato negli anni Quaranta, sulla base della divisione del mondo in due blocchi, l’amnistia per i partigiani e per i fascisti, il voto per l’inserimento nell’articolo 7 della Costituzione del concordato stipulato a suo tempo da Mussolini con la Chiesa, l’esclusione della linea rivoluzionaria (Secchia) in Italia; dall’altro lato a suo tempo negli anni Trenta l’eliminazione in Spagna del trotzkista Nin, dell’anarchico Berneri, la presa d’atto senza muovere un dito di duecento esuli comunisti in Urss nei gulag, poi nel 1956 la valutazione positiva dell’intervento dei carri armati in Ungheria.

L’APPOGGIO AI CARRARMATI
Nel 1956-57 Napolitano si schierò con Togliatti in polemica con Antonio Giolitti che uscì dal Pci proprio sulla vicenda ungherese, e comunque da quella scelta del tutto negativa Napolitano iniziò un lungo percorso che dal comunismo ortodosso lo portò ad assumere sempre più nettamente posizioni di stampo riformista. Il percorso però è stato assai difficile e contraddittorio. Infatti, di fronte al crollo del comunismo reale in Russia e poi nei Paesi dell’Est europeo avvenuto non per una guerra perduta, ma per il fallimento di quei regimi sul piano economico, sociale e dei diritti civili per la totale assenza di libertà individuali e collettive, sarebbe stato in un certo senso naturale e razionale che il Pci, cambiando nome, di fatto passasse da una posizione comunista ad una posizione riformista e socialdemocratica creando le condizioni per l’unità socialista fra il Psi e il Pci. Questa fu la posizione presa da Giorgio Napolitano e con lui da coloro che assunsero la posizione di “miglioristi” (Gerardo Chiaromonte, Emanuele Macaluso, Paolo Bufalini, Umberto Ranieri, Gianni Cervetti). L’assunzione di questa posizione è il merito storico di Giorgio Napolitano.

 


Senonché il Pci, con la segreteria di Berlinguer, a cui seguì l’affermazione di un nuovo gruppo dirigente a lui molto legato, non condivise affatto questa proposta. Per Berlinguer e poi per coloro che furono appunto chiamati “i ragazzi di Berlinguer” (Occhetto, D’Alema, Veltroni) l’avversario principale da abbattere e possibilmente da distruggere prendendone il posto era il Psi di Craxi, per cui la posizione di Napolitano e dei suoi amici risultò del tutto minoritaria. Di conseguenza, quando, venuto meno il pericolo comunista, si affermò nei grandi gruppi finanziari-editoriali e conseguentemente nei nuclei più aggressivi della magistratura la tendenza a ridimensionare o addirittura a eliminare i tradizionali partiti di governo perché considerati ormai superflui, i ragazzi di Berlinguer offrirono i loro servigi a questa operazione venendo abbondantemente ricambiati: il Psi, il centrodestra della Dc, i partiti laici vennero distrutti per via mediatico-giudiziaria con la motivazione che il loro finanziamento era irregolare: l’asserito era vero, ma allora il pool dei pm di Mani Pulite e il pool dei direttori di giornali ad esso collegati (Corriere della Sera, Stampa, l’Unità) che guidarono la danza dimenticarono un piccolo particolare, e cioè che il partito che aveva il finanziamento più irregolare fra tutti era proprio il Pci-Pds, il cui gruppo dirigente più ristretto non fu neanche sfiorato da un avviso di garanzia, per cui alla fine (1993-94) puntò anche a conquistare pienamente il potere politico grazie alla nuova legge elettorale e alla distruzione dei partiti di centro.

Allora (1992-93) nessuno poteva pensare che quel vuoto sarebbe stato riempito da Berlusconi che fondò Forza Italia e federò il centrodestra.
In quel contesto Giorgio Napolitano diventò più tardi Presidente della Repubblica: egli si mosse con notevole abilità e anche con indubbia ambiguità. Esistono pochi dubbi sul fatto che fu Napolitano a dare spazio alla contestazione da parte di Fini nei confronti di Berlusconi: al dunque, però, contribuì a fissare in una data così ritardata il voto parlamentare sulla mozione di sfiducia presentata da Fini che diede a Berlusconi il tempo di realizzare in extremis la sua rimonta.

Nel 2011 Napolitano fu decisivo per una scelta che avrebbe segnato la fine anche della cosiddetta Seconda Repubblica: quando Berlusconi nel 2011 fu costretto a dimettersi sotto la spinta di una parte dell’Unione Europea (Merkel e Sarkozy), lo sbocco più naturale sarebbero state le elezioni anticipate, con un esito del tutto incerto. Invece Napolitano, temendo un collasso finanziario, impose il governo tecnico di Mario Monti, appoggiato sia dal centrodestra che dal Pd. Monti adottò una linea così marcata di lacrime e sangue che alle successive elezioni i due partiti che lo avevano sostenuto, cioè proprio Forza Italia e il Pd, andarono incontro a dure sconfitte elettorali. E il “voto di protesta” produsse la nascita del M5S che allora ottenne il 25% e poi nel 2018 addirittura il 32%.

 


MIGLIORISTI, MA NON TROPPO
In sostanza, a nostro avvisto, la linea seguita da Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica merita molte osservazioni critiche. Invece egli e la corrente dei miglioristi erano portatori di una proposta politica per il Pci e per tutta la sinistra italiana che però non fu seguita dalla maggioranza del Pds, con gli esiti disastrosi che sono davanti a tutti: da un lato le vittorie del M5S e oggi nel Pd l’affermazione della segreteria Schlein. Tutto ciò deriva da lì, dalla scelta dei ragazzi di Berlinguer di contribuire alla criminalizzazione di Craxi e alla distruzione del Psi rendendo così minoritaria la sinistra italiana. Dice il proverbio: chi è causa del suo mal pianga se stesso.

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