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Elly Schlein sconfitta anche in Europa: sventata l'Europatrimoniale

 Brando Benifei

Tommaso Montesano
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Elly Schlein l’aveva promesso nella mozione congressuale in nome della quale sarebbe arrivata alla segreteria del Pd: «Il fisco che vogliamo redistribuisce i redditi e la ricchezza e contribuisce a ridurre le diseguaglianze sociali». In una parola: patrimoniale. Così agli europarlamentari dem- e non solo- non è parso vero, ieri pomeriggio, di pronunciarsi a favore, nel dibattito in assemblea plenaria sulle proposte di revisione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 della Commissione, di un emendamento presentato dal gruppo di The Left a Strasburgo che invita l’esecutivo Ue e i singoli Stati a «introdurre un’imposta patrimoniale europea che potrebbe generare oltre 200 miliardi di euro per le risorse proprie dell’Ue».

L’emendamento - poi bocciato dall’assemblea grazie al voto contrario di Ecr (i Conservatori europei di cui fa parte Fratelli d’Italia); Identità e democrazia (dove siede la Lega); Ppe (cui appartiene Forza Italia); Renew Europe (la casa del Terzo polo nostrano); la maggioranza dello stesso gruppo dei Socialisti e democratici e un eurodeputato di The Left - ha ricevuto il sostegno di otto parlamentari italiani: quattro del Pd (Brando Benifei; Pietro Bartolo; Camilla Laureti; Massimiliano Smeriglio), un indipendente che siede nel gruppo dei Socialisti (l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, eletto sotto le insegne del Pd) e tre esponenti dei Verdi: Rosa D’Amato; Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini.

 

 

TASSE CHE PASSIONE - La seconda notizia è che il voto ha spaccato il maggiore gruppo progressista: 30 eurodeputati si sono schiarati a favore dell’imposta, ma il resto dei S&D ha votato “no”. E tra questi ci sono anche gli italiani Mercedes Bresso; Paolo De Castro; Pina Picierno; Alessandra Moretti; Elisabetta Gualmini e Patrizia Toia. Insomma, non un bel segnale per Schlein, impegnata a mostrare la compattezza del partito in vista della mobilitazione - anche di piazza - del Pd contro la manovra finanziaria del governo.

«La sinistra non si smentisce mai: per loro, anche in Europa, le tasse “sono bellissime”. In un momento difficile per l’economia del nostro continente la sinistra ha una sola risposta: alzare le imposte», attacca la leghista Silvia Sardone, europarlamentare di Identità e democrazia. Ma del resto, ricorda, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, visto che già nel 2020 Paolo Gentiloni, attuale commissario Ue agli Affari economici, «raccomandava all’Italia di spostare le tasse dal lavoro al patrimonio facendo leva sulla reintroduzione dell’Imu sulla prima casa».

 

 

«SONO I SOLITI» - «Altro che sinistra moderna, moderata e riformista», rincarano la dose i leghisti Matteo Gazzini e Valentino Grant, componenti della commissione Budget, «oggi buona parte del Pd getta la maschera. Per fortuna degli italiani e degli europei ha prevalso il buonsenso». E dire che insistono a definirsi «socialdemocratici», ironizza Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo, per il quale il voto di ieri dimostra una volta di più che «la passione del Pd per le tasse e in particolare per la patrimoniale non si sopisce mai. Il Pd non riesce a tenere a freno la voglia sfrenata di mettere le mani nelle tasche dei cittadini». Inevitabile il riverbero di quanto accaduto nella sessione plenaria di Strasburgo sul dibattito italiano, dove al centro c’è la discussione sulla manovra economica. «Eccola ancora la sinistra che predica male, razzola peggio e prova ad aumentare le tasse ai cittadini», dice Tommaso Foti, capogruppo di FdI a Montecitorio, che denuncia il «golpe, fallito, di una sinistra che si preoccupa solo di tassare a dismisura le persone nel nome di un’invidia sociale. La legge di bilancio del governo Meloni non conterrà una simile follia». 

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