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Gramegna di nome, gramigna di fatto: chi è l'uomo che vuole imporci il Mes

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Leporello
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Il direttore generale del Mes, il fondo salva stati, dice: «Ne abbiamo estremamente bisogno. L’Italia è un Paese sovrano, ma si è impegnata». Proprio un grido di dolore, che non sgorga da Gaza City, neppure da un kibbutz, non dall’Afganistan devastato dai terremoti e nemmanco dal Dombass bombardato. Arriva dritto da Bruxelles, dalla sede del meccanismo europeo di stabilità – appunto il Mes – ed è una supplica rivolta solo e soltanto a noi, perché senza il via libera dell’Italia questo fondamentale meccanismo non può neppure prendere il via. Con la conseguenza ulteriore, Gramegna non potrebbe più giustificare poltrona e stipendio.

Non demorde. Sta «lavorando duramente per convincerli», sostenuto a tutto spiano in questo ciclopico sforzo dalle nostre amabili fattucchiere, ovvero i giornali di John Elkann, quello di Carlo De Benedetti e la tivù di Urbano Cairo che per l’appunto al solo sentire la parolina Mes scattano all’unisono e si mettono al centro del ring. Tutti primi al traguardo del saccheggio d’Italia.

 

 

Povero Pierre, brutalizzato da Giorgia Meloni e dalla sua maggioranza che non vuol sentirne di ratificare (come da programma elettorale) quella che lui chiama «formalità», ma di cui a Bruxelles hanno «estremamente bisogno» incappa nel controsenso che svela l’idea di controllo: Gramegna di nome, gramigna di fatto.

 

 

 

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