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Riforme, in CdM la norma "anti-ribaltoni"

Fausto Carioti
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Per chi è stufo di professori più o meno illustri che diventano presidenti del consiglio senza nemmeno essersi candidati a un seggio da semplice parlamentare, per chi non vuole più governicchi tenuti in piedi con i voti dei senatori a vita, per quelli cui la parola «ribaltone» fa venire l’orticaria: pare che sia la volta buona. Venerdì il consiglio dei ministri approverà il disegno di legge costituzionale che metterà fine a tutto questo. Poi verrà il turno del parlamento e infine toccherà agli italiani, tramite referendum, confermare o respingere quella che Giorgia Meloni considera la madre di tutte le riforme. Un percorso lungo, che però sta per iniziare. L’accordo per il premierato è stato chiuso ieri a palazzo Chigi, in una riunione di maggioranza alla quale, oltre al capo del governo, hanno partecipato, tra gli altri, i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro per le Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e quello per i rapporti col Parlamento, Luca Ciriani.

Il cuore della riforma, assieme all’elezione diretta del premier, è la norma “antiribaltone”, il cui testo - tuttora suscettibile di ritocchi, vista la complessità della pratica - è questo: «In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per proseguire nell’attuazione del programma di Governo. In tali casi, ai fini del raggiungimento, in ciascuna Camera, della maggioranza per l’approvazione della mozione di fiducia, si computano solo i voti favorevoli dei parlamentari eletti in collegamento al Presidente eletto, nonché dei parlamentari che hanno votato la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente del Consiglio eletto».

 

 

«BUON COMPROMESSO»
 Nel governo definiscono il testo come «un buon compromesso, che tiene insieme l’esigenza di avere coerenza tra voto dei cittadini e stabilità dei governi con la necessità di non mortificare il parlamento». L’elezione diretta del presidente della repubblica, che Fdi avrebbe preferito, si è scontrata infatti con la preoccupazione della Lega e di Forza Italia di non subordinare eccessivamente le Camere alla volontà del capo del governo. Il risultato è un premier scelto direttamente dagli italiani per governare cinque anni, e perché questo sia possibile il parlamento dovrà cambiare anche la legge elettorale, prevedendo un premio di maggioranza che assicuri alla coalizione vincente il 55 per cento dei seggi di Camera e Senato. Così, quando la riforma entrerà in vigore, il capo dello Stato, che oggi «nomina il Presidente del Consiglio dei ministri» dopo il consueto giro di consultazioni, potrà solo conferire l’incarico al premier eletto. Il Quirinale manterrà comunque il potere di nominare i ministri, dietro indicazione del premier. Gli stessi ministri, a differenza di quanto avviene nei sistemi di presidenzialismo “muscolare”, non potranno essere sfiduciati dal premier, ma solo dal parlamento, come avviene adesso.

E se il presidente del consiglio per qualche motivo cesserà dal mandato? In quel caso entrerà in funzione la norma antiribaltone: il capo dello Stato potrà conferire l’incarico di formare un altro governo allo stesso premier dimissionario oppure ad un altro parlamentare della maggioranza, ed il nuovo esecutivo dovrà portare avanti il programma della coalizione che ha vinto le elezioni. Dovrà anche ottenere la fiducia trai parlamentari della maggioranza originaria; i senatori e i deputati che stavano all’opposizione potranno aggiungersi a loro, ma non sostituirli. Se queste condizioni non saranno rispettate, si tornerà al voto. Dulcis in fundo, gli attuali senatori a vita di nomina presidenziale saranno gli ultimi esemplari della specie: con l’entrata in vigore della riforma, gli unici nuovi senatori a vita saranno gli ex presidenti della repubblica.

 

 

IL «SÌ» DI RENZI
 Tutto questo, commenta Casellati, è «un grande passo avanti per stabilità al Paese e restituire centralità al voto dei cittadini». Dentro Fdi si parla di «approdo alla terza repubblica», mentre Salvini va al sodo: «Niente governi tecnici, ribaltoni, cambi di maggioranze e partiti al governo, niente nomine di nuovi senatori a vita». La bozza è passata anche sotto la lente degli uffici del Quirinale, ai quali, a quanto si è appreso, il governo si è rivolto per un parere tecnico. Non risulta, peraltro, che gli esperti di Sergio Mattarella abbiano suggerito modifiche. L’obiettivo del governo è incassare la prima votazione del testo in parlamento (in parallelo con l’autonomia differenziata) prima di giugno, quando si terranno le elezioni europee: una richiesta di Meloni, che costringerà le Camere a correre. Nell’opposizione, l’unico leader favorevole è Matteo Renzi: «Se Meloni porta la riforma costituzionale con l’elezione diretta del premier», promette, «noi ci siamo».

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