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Giorgia Meloni, la rivelazione a Bruno Vespa: "Come voglio finire questa legislatura"

Tommaso Montesano
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La riforma costituzionale anti-ribaltone e anti-inciucio deve ancora iniziare il suo cammino in Parlamento, ma per Giorgia Meloni è come se fosse già in vigore. Nel senso: questo esecutivo - il suo esecutivo, espressione della vittoria elettorale dello scorso anno - è l’unico previsto in questa legislatura. La presidente del Consiglio l’ha ribadito a Bruno Vespa nel libro “Il rancore e la speranza”, in uscita l’8 novembre per Mondadori/Rai libri, di cui ieri sono uscite alcune anticipazioni. Rispondendo a una domanda del conduttore di Porta a Porta sulla tentazione di procedere a un rimpasto di governo, Meloni è stata categorica: «Mai. Voglio battere un altro record: finire la legislatura con lo stesso governo con cui l’ho iniziata. Sarebbe la prima volta nella storia repubblicana». Il precedente che viene in mente quando si parla della stabilità degli esecutivi, è sempre quello di Silvio Berlusconi nella XIV legislatura (2001-2006).

Ma è la stessa presidente del Consiglio a precisare: «Berlusconi è stato a Palazzo Chigi cinque anni, ma con due governi diversi. Realizzare una visione richiede tempo. E io sono fiera di avere il tempo necessario». Quindi non ci sarà, almeno in questa legislatura, un governo Meloni II.

 

La presidente del Consiglio, del resto, nega che vi siano fibrillazioni in seno alla maggioranza tali da far ipotizzare l’odiato rimpasto: «Mi stupisce la totale invenzione di liti con i miei alleati di governo. Ho letto miei virgolettati in cui insulto Salvini che non solo non sono mai stati pronunciati, ma nemmeno pensati. Quando leggo pezzi di rassegna stampa con Matteo e con Antonio Tajani, restiamo basiti». Intendiamoci, nessuna novità. «Capisco che alcuni giornali vogliano mandarci a casa: legittimo, ci mancherebbe. Quello che non è accettabile ed è estraneo a qualunque deontologia è mettere tra virgolette cose mai dette né pensate».

Meloni non cambia idea né abbassa la guardia: sa benissimo che la navigazione, per terminare la legislatura con lo stesso governo varato un anno fa, sarà tutt’altro che facile. «Io non sento affatto la dimensione dell’assedio. È il racconto che si fa di me. So che ci sono nemici disposti a fare qualunque cosa pur di buttarmi giù. Ma non mi spaventano». E tra i modi per cercare di disarcionarla, c’è quello di dipingerla sempre sull’orlo di una crisi di nervi: «Sono degli inguaribili misogini. Tentano di accreditare la tesi che la testa di una donna non può reggere di fronte alla pressione». Intanto la barca va. 

 

«Nell’ultimo anno, da quando c’è questo governo, ci sono oltre mezzo milione di posti di lavoro in più, in grandissima parte con contratti stabili», rivendica Meloni sui suoi canali social, «segno di una Nazione che punta sul lavoro di cittadinanza, lasciandosi alle spalle le fallimentari ricette del passato». Intanto, però, si apre un fronte inatteso sulla manovra finanziaria. Il governo, infatti, si è corretto sul periodo di decontribuzione per le mamme lavoratrici con due figli, che passa a un anno dai tre indicati nel testo inviato il 30 ottobre scorso in Senato. Un’errata corrige all’indirizzo di Palazzo Madama ha riportato il periodo a quanto stabilito nella versione approvata in Consiglio dei ministri. Nessun passo indietro, ha precisato infatti il ministero dell’Economia. Ma questo non ha impedito al Pd di andare all’attacco. «Il governo sta tradendo le promesse, una dopo l’altra», ha detto la segretaria, Elly Schlein. Resta triennale, invece, lo sgravio per le madri con 3 figli.

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