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Francesco Lollobrigida: "Frecciarossa? Ho rispettato un impegno di Stato"

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«Mi dichiaro colpevole».

Ministro, questo le fa onore...
«Sì, sono colpevole di essere vicino al presidente del Consiglio, da decenni prima che lo diventasse».

No, stavolta la accusano di averla fatta grossa, chiedono le sue dimissioni...
«Non è la prima volta. Le chiedono per tutto tranne che per il mio lavoro. Io faccio il ministro dell’Agricoltura. In un anno sono stato attaccato sulla sostituzione etnica, sulla mia vita privata, sulla mia carriera, ma io sono diventato prima militante della destra giovanile, poi cognato di Giorgia Meloni, quindi parente del premier e suo ministro; faccio politica da trentastte anni, perché ci credo e non per ambizione. Tutto è nato da questo».

La accusano di aver fermato un treno in ritardo per farla scendere. È vero?
«No, il treno si è fermato diverse volte e a lungo; anzi continuava a fermarsi di suo. Io ho chiesto, al pari di altri viaggiatori, di poter esercitare ciò che qualsiasi utente può chiedere ai sensi di quanto consentito dal contratto di viaggio: la possibilità di scendere, e quando è stato possibile lo ho fatto, con tutti gli altri passeggeri che hanno voluto cogliere la possibilità».

Già, ma le porte le ha fatte aprire lei, agli altri non sarebbe stato permesso...
«Le porte si sono aperte solo quando era consentito, cioè a Ciampino. La fermata straordinaria è consentita dal regolamento delle Ferrovie. Ho chiesto di scendere alla prima fermata utile spiegando al capotreno le ragioni».

La sinistra la accuserà di aver commesso un abuso di potere.
«Mi sembra difficile. Non ci sono state violazioni di legge e Ferrovie si è determinata senza alcuna pressione che andasse oltre la richiesta da cittadino che voleva fare il suo lavoro, senza recar danno a nessuno. Come chiarito dall’Azienda, nessun danno, nessun ritardo, nessun disagio e nessun costo. Per nessuno».

Ma le sembra un comportamento opportuno...
«Francamente sì. Martedì era la giornata degli alberi, io ero chiamato a Caivano per piantare l’albero di Falcone in una piazza riqualificata che fino a pochi mesi fa era luogo di spaccio. Dovevo rappresentare lo Stato in un luogo in cui lo Stato è rimasto assente troppo a lungo. Che figura ci avrebbero fatto le istituzioni se non mi fossi presentato? Sarebbe stata un’ulteriore latitanza, con tanto di bambini, banda e carabinieri a testimoniarla».

Il treno del ministro Lollobrigida va all’incontrario dei desideri dell’opposizione. Il caso del giorno è il tribolato viaggio del titolare del dicastero dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare da Roma a Caivano.
L’interessato ce lo racconta così. «Ho ascoltato l’audizione del vicepremier Tajani e mi sono precipitato a Termini. Quando sono salito sul treno c’era un ritardo previsto di 5 minuti. Pochi chilometri ed era già di 75’, c’era un guasto sull’alta velocità e ci hanno deviato sulla linea lenta. Da lì, il convoglio ha cominciato a viaggiare a passo d’uomo, fermandosi ogni due per tre. Dopo un quarto d’ora, i minuti di ritardo sono diventati cento e io ho chiesto di poter scendere».

A chi l’ha chiesto, ministro?
«Al capotreno, che mi ha detto che non era possibile in quel momento».

E lei ha insistito?
«No, ho atteso di sapere se l’istanza potesse essere accolta. Così è stato come del resto negli ultimi mesi. Ci sono stati 207 casi di treni che hanno effettuato fermate straordinarie per agevolare i passeggeri».

Presso chi vi siete informati?
«Ciascuno con il proprio entourage. Io con i miei collaboratori. Ritengo che quando sono stati certi che la cosa era possibile senza creare ulteriori disservizi o costi aggiuntivi e che c’erano molti precedenti, mi hanno permesso di scendere come ad altri passeggeri a Ciampino. Da lì ho proseguito in auto per Caivano, dove mi attendevano centinaia di bambini e le istituzioni del posto».

Della serie “mi faccia scendere, lei sa chi sono io...” 
«Non è proprio nella mia natura. Sono stato assessore regionale ai Trasporti, ne conosco le dinamiche e l’ultima cosa che mi passa per la testa è creare problemi in un settore che ho seguito con particolare attenzione. Quando sono diventato ministro ho chiesto di rinunciare all’auto blu, ma mi hanno risposto che non era possibile se non creando problemi di sicurezza. A Caivano avrei potuto programmare di andarci a sirene spiegate ma avevo scelto il treno e anche il ritardo mi sarebbe stato benissimo, se fosse stato un viaggio privato, una buona occasione finalmente per riposarsi un po’. Purtroppo però c’erano centinaia di persone ad attendermi e lei sa quanto costa allo Stato tenere fermo un comitato d’accoglienza a un ministro per cinque-sei ore in più». 

La discesa dal treno come scelta di spending-review?
«Fa bene a ironizzare, sorriderei anche io, se non fossi esasperato da questi attacchi pretestuosi. Le accuse dell’opposizione hanno trasformato questa banalità in un film grottesco. Comunque Trenitalia ha precisato che la fermata a Ciampino non ha comportato costi economici né temporali». 

Vabbeh, e cosa doveva dire?
«La verità, come penso abbia fatto». 

Quindi, ministro, non si dimette? 
«E perché dovrei? Mi risulta che il mio lavoro sia molto apprezzato da tutte le categorie appartenenti al settore agro-alimentare. L’opposizione non riesce a segnare un punto e pensa di compensare chiedendo le teste degli esponenti del governo o dei loro collaboratori. C’è una richiesta di dimissioni al giorno, che puntualmente cade nel vuoto perché fondata sul nulla. Io sono quella di ieri, oggigià toccherà a qualcun altro. Proprio non accettano che ci sia qualcuno eletto dai cittadini nei posti che loro ritengano gli siano riservati per diritto divino». 

Così parlò Lollobrigida, colpevole di aver richiesto la possibilità di applicare una procedura d’emergenza lecita per onorare un impegno di governo in una terra martire con cittadini che attendevano un segnale dallo Stato, che già era in ritardo di decenni. Tre, quattro ore in più cosa sono in confronto a lustri? Tanto, se si dà buca all’appuntamento dopo essere mancati una vita. Uno Stato che non riesce a piantare l’albero di Falcone in una terra di camorra è un’immagine che non ci possiamo permettere di dare ai bambini di Caivano. 

Post scriptum. Da cittadino, prima di approfondire come giornalista la vicenda, non ho avuto un moto di sdegno nel leggere sul Fatto Quotidiano lo scoop sul treno di Lollobrigida. Primo perché conosco il prodotto e la tentazione di gettare il cuore oltre l’ostacolo, sacrificando parte della realtà ai desideri dei suoi lettori, specie quando si tratta di storie laterali di colore. Secondo perché, passando la vita tra treni e aerei, conosco il grave livello di disservizio inflitto ai passeggeri a prezzo salato. E quel “fatemi scendere” non l’ho avvertito come arroganza del potere, ma come l’urlo liberatorio che siamo costretti a cacciare in gola ogni volta che il disagio del ritardo viene ignorato, come se la puntualità non fosse inclusa nel biglietto ma un omaggio della ditta, a sua unica insindacabile discrezione.

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