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M5s, Chiara Appendino e Bonafede? Ecco come vengono riciclati

Claudia Osmetti
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Volevano aprire «il parlamento come una scatoletta di tonno» (cit. Beppe Grillo, 2013). E alla fine, nella scatoletta, ci sono rimasti dentro loro. Si sono spaccati, han litigato, sono finiti sotto processo, qualcuno ha trovato un altro incarico, modello ripescaggio, all’ultimo minuto, di volata, in Europa o in Italia. Il limite dei due mandati sì-però, lo streaming che va in buffering, le piazze riempiete a suon di “vaffa”. Il Movimento 5 stelle, i grillini, ossia la “rivoluzione” (annunciata, sempre da loro) che non s’è vista.

S’è vista, invece, una serie infinita di azioni giudiziarie che, per carità, non sono un unicum nel mondo politico italiano, figuriamoci, ci sono sempre state e han toccato un po’ tutti, destra, sinistra, centro: ma quando ricadono sul popolo dell’onestà-onestà qualche mal di pancia in più lo provocano. Il caso Lombardi: da Roberta Lombardi, ex assessore alla Transizione ecologica della Regione Lazio, ex deputata, ex capogruppo alla Camera che (fa sapere l’Adnkronos in questi giorni) è stata querelata da un’altra ex, l’ex consigliera laziale Francesca De Vito, per diffamazione e adesso rischia di dover andare in tribunale. Il caso Tucci: da Riccardo Tucci, tra l’altro fedelissimo di Giuseppe Conte, calabrese e pure lui deputato grillino, rinviato a giudizio con altre tre presone, a fine maggio, a Vibo Valentia, con l’accusa di frode fiscale nell’ambito di un’indagine delle Fiamme gialle che hanno persino attuato un sequestro preventivo di beni per 800mila euro.

 

 

 

I GUAI GIUDIZIARI

Il caso Appendino: da Chiara Appendino, l’ex sindaca di Torino che oggi siede a Montecitorio, con una condanna confermata in corte d’assise d’appello a un anno e sei mesi di carcere per i fatti di piazza San Carlo del 3 giugno 2017, quando si scatenò il panico tra la folla che seguiva su un maxischermo la finale di Champions.
Il caso (anzi, i casi) Raggi: da Virginia Raggi, un’altra ex sindaca, un’altra grillina di quelli degli arbori, questa volta a Roma, assolta sì in secondo grado per la nomina di Renato Marra, fratello dell’ex capo del personale del Campidoglio, al dipartimento del Turismo romano, nel 2020, ma con un’ordinanza di imputazione coatta (dopo tre richieste di archiviazione) per calunnia e false informazioni rese ai pm sulla vicenda del bilancio di Ama, la partecipata per la raccolta dei rifiuti della capitale, e della partita di crediti per i servizi cimiteriali.

Su su fino all’inchiesta, e s’è vista anche questa, s’è vista di recente, non della magistratura, ma del giornalismo. Della trasmissione di Rai3 Report che ha mostrato come Sergio Puglia (ex Segretario di Palazzo Madama, ex senatore M5s) e Vito Crimi (ex sottosegretario alla presidenza del consiglio nonché ex capo politico ad interim del Movimento) e Paola Taverna (ex senatrice M5s e attuale vicepresidente del Movimento) abbiano ritrovato un loro posticino al sole, in quel partito che si auto-proclamava non-partito quando tutti, una vita fa, si facevano chiamare “cittadino”.

Sono diventati, oggi, consulenti e come collaboratori, Puglia, Crimi e Taverna, le cui buste paga (che tra l’altro fa lo stesso Puglia, adesso, per i grillini) sono a carico dei gruppi parlamentari non più folti (e anche questo è un problema) come lo erano in passato. «Tutto regolare, non sono spese aggiuntive», commentano dal M5s: lepperà qui si apre l’altro capitolo. Quello che recupero. Degli ex rispolverati, giacca nuovo e nuovo incarico. Un nome su tutti, Luigi Di Maio. D’accordo, “Dima” col movimento c’entra più un tubo, lo ha lasciato a piedi alle ultime politiche: solo che poi, a piedi, c’è rimasto lui stesso. Soglia di sbarramento non raggiunta e arrivederci. E allora, gira che ti rigira, è riuscito a infilarsi in Europa, come rappresentante speciale dell’Ue per il Golfo Persico. Sono due mesi che il Medioriente brucia, vero che Israele non affaccia direttamente sull’oceano indiano, ma che ci siano fili che da Gaza arrivano in Qatar o in Iran è indubbio, e lui è l’unico che non è riuscito a dire mezza parola.

 

 

 

GLI EX FRONTMAN

Ne dice (e ne dice pure troppe), invece, l’altro fuoriuscito di spicco, Alessandro Di Battista, “Dibba”, che però almeno non s’è ritagliato, e almeno questo gli va riconosciuto, nessun ruolo istituzionale “a margine”. Cosa che ha fatto, per chiudere il cerchio, Alfonso Bonafede. Detto Fofò. Ex ministro della Giustizia, grillino della prima ora, quello a cui si deve l’acume d’aver scoperto Conte all’università di Firenze e di averlo catapultato a Roma, così, d’emblée, senza neanche passare dal via, e che è finito, lui, Bonafede, dopo peraltro un tentativo fallito di piazzarsi al Csm, ruolo per il quale manco aveva i requisiti ma son dettagli, come ha spiegato Il Foglio un mesetto fa, al Cpgt, che è il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, in soldoni l’organo di autogoverno dei giudici tributari. Altro giro, altra corsa. Uno vale uno e poi si vedrà. La solita, vecchia, vista e rivista, già sperimentata, già studiata, su altri lidi ma è lo stesso, politica.

 

 

 

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