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Repubblica, dietro i "fact-checking" c'è la solita propaganda

Tommaso Montesano
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La parola del giorno è «fact -checking». Traduzione per chi ama- ancora- la lingua italiana: significa fare le pulci a quanto affermato giovedì dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di (fine) inizio anno. Ecco le conclusioni cui sono arrivati alcuni quotidiani ed editorialisti: «42 risposte tra capriole e bugie» (la Repubblica); «Punto per punto, bugie, impegni, propaganda» (Il Fatto Quotidiano); «Sui temi cruciali, dai migranti all’economia, non ha niente da dire. O mente» (Stefano Feltri); «Le cose false e fuorvianti dette da Meloni in conferenza stampa» (Il Post); «Bugie, mezze verità, non lo so» (Il Riformista). Peccato che spesso più che di «verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti» riguardanti «istituzioni e persone di rilievo pubblico» (così Treccani definisce il fact checking), si tratti di (legittime) opinioni politiche che contrastano con quelle della premier.

La Repubblica. Il quotidiano diretto da Maurizio Molinari dedica una pagina a smontare «le affermazioni che non corrispondono alla realtà». Ma a volte il pedale scappa. Come sulla Rai. Il giornale contesta l’affermazione di Meloni sull’assenza di un rappresentante di Fratelli d’Italia nel Cda durante il governo Draghi con queste parole: «Sono stati i suoi alleati, Lega e Forza Italia, a fare un accordo per sostenere un nome non di riferimento di FdI in Cda». Quindi la premier ha ragione: il partito non era rappresentato. E ancora: per replicare alla prudenza di Meloni sulla manovra correttiva (è «presto»), il quotidiano se la cava con una previsione: «Prima o poi una manovra correttiva ci sarà». Lo stesso succede per gli effetti della tassa sugli extraprofitti delle banche sui cittadini («tutto da vedere l’impatto su famiglie, imprese ed erario», quindi neanche Repubblica lo sa) e sul Piano Mattei per l’immigrazione, che per la premier «è più avanti di quello che sembra» e questo al giornale di Largo Fochetti non piace: «Il Piano Mattei a oggi è sconosciuto». Ma se è «sconosciuto» come fa Repubblica a confutare la dichiarazione di Meloni?

 

 

Il Fatto Quotidiano. «Le legittime prese di posizione e le balle propagandistiche si mischiano senza soluzione di continuità», scrive il giornale di Marco Travaglio. Da capire in quale capitolo rientri il pistolotto sulle futuribili iniziative politiche di Palazzo Chigi dopo le Europee («il governo dovrà contrattare in ogni caso il posto da Commissario che spetta all’Italia»), oppure l’osservazione- piena di rimpianto- che se Meloni «perde il referendum confermativo non si dimette, perché “non è un referendum su di me”». Per il resto, anche al Fatto leggono il futuro sull’economia («La sintesi è che l’Italia, se tutto va bene, sarà costretta a una stretta fiscale da oltre 10 miliardi l’anno almeno fino al 2031» e nulla sanno sul Piano Mattei e i progressi annunciati dal capo del governo («può darsi»).

Stefano Feltri. L’ex direttore di Domani affida al web le sue verifiche. Ed è un mistero il perché nell’«incertezza strategica» della premier finisca pure l’ipotesi del confronto tv con Elly Schlein. «Meloni si dice pronta a un confronto televisivo con la segretaria del Pd. Segno che è convinta di poterlo non vincere, ma stravincere». Poi Feltri, nel suo personale fact checking, indugia inutilmente sulle parole di Meloni a proposito dell’ipotesi di Draghi candidato al vertice Ue («indicano che se le condizioni ci saranno, da parte della premier non c’è alcuna ostilità»); sulla presenza di Elon Musk alla festa di Atreju (di cui la premier ha illustrato nel dettaglio la finalità) e addirittura sull’affermazione relativa a «due coppie di coniugi, entrambe a sinistra», presenti in Parlamento (le coppie Franceschini-Di Biase e Fratoianni-Piccolotti).

 

 

Il Post. Il quotidiano on line si attacca perfino all’affermazione di Meloni sul silenzio, tra le forze di opposizione, di fronte alle esternazioni anti-governative del consigliere della Corte dei Conti Marcello Degni: «Nessuno a sinistra ha detto due parole su questo tema». Evidente che la premier si riferisse ai vertici, massima espressione politica, di Pd e M5S. Il sito, nel deserto delle prese di posizione dei leader di centrosinistra, scova una dichiarazione di Filippo Sensi, senatore del Pd, per confutare l’assunto della premier. Ma Sensi - comunque: onore al merito- non è il segretario del Pd.

Il Riformista. Il quotidiano diretto da Matteo Renzi accusa la premier sul “caso Pozzolo” (il parlamentare di Fratelli d’Italia sotto accusa per lo sparo di Capodanno): «Dice il minimo sindacale». Eppure Meloni di fatto ha “scaricato” il parlamentare, bollato come «non responsabile», sospeso dal partito e deferito al collegio dei probiviri. Ancora: «Non una parola sul fatto che il fedelissimo Delmastro (il sottosegretario alla Giustizia, ndr) si trovi spesso al centro di situazioni come minimo border line». Ma Delmastro è estraneo ai fatti. E sa di arrampicata sugli specchi pure l’analisi delle parole sulla legge elettorale. Dice di non averci messo la testa, è la premessa del giornale. Che poi riporta le dichiarazioni di Meloni sul tema: «Vedo solo due condizioni: le preferenze e lo sbarramento per aver accesso al premio di maggioranza». Postilla del Riformista: «Come se metterlo al 25% o al 40% fosse la stessa cosa». In questo caso, bontà loro, «non si tratta di bugie, ma di omissioni e parziali verità». Eppure è stata la stessa Meloni a premettere di non aver ancora approfondito l’argomento. Del resto, come da prassi, delle regole del voto si discute nell’ultimo anno della legislatura.  

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