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Valditara, solo la Cgil contro la riforma degli istituti tecnici

Claudia Osmetti
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Tre, due, uno: ci siamo. Sta per suonare la campanella. Non piace ai sindacati (cioè non piace alla Cgil), ma la riforma degli istituti tecnici, il cosiddetto “modello 4 + 2”, è realtà. L’ha voluta (fortissimamente) il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, gli addetti ai lavori (ossia insegnanti e presidi, direttori scolastici e docenti) la giudicano quasi all’unanimità «un’occasione» e alla fine ci sono solo loro, gli irriducibili delle sigle sindacali, che storcono il naso: ma ci vuol pazienza ed è questione di una manciata di giorni.

PERCORSI FORMATIVI
Nel senso che le prime classi partiranno con l’anno scolastico 2024/2025 (quindi a settembre), però le iscrizioni saranno aperte a partite dal 18 gennaio fino al 10 febbraio. In soldoni: ci sarà un legame più stringente tra i percorsi formativi didattici tecnici e professionali, dureranno solo quattro anni (e non cinque) con la possibilità di far seguire gli Its Accademy (le scuole d’eccellenza ad alta specializzazione post diploma). Il tutto, ovviamente, e l’aveva già specificato Valditara a fine anno scorso, con un «più forte raccordo fra scuola e impresa, e si punterà molto anche sull’internazionalizzazione e sulla ricerca». Ché è il 2024, è una nuova era, è cambiata ogni cosa. A cominciare dal mondo del lavoro. Dobbiamo adeguarci alla società del futuro, deve farlo (soprattutto) la scuola. Invece no. Invece sono mesi che i soliti noti (leggi: i soliti sindacati) stan sulle barricate.

 

 

«Un provvedimento così importante» si legge in una nota della Cgil e della Flc Cgil di novembre, «non può essere affrontato e liquidato nell’arco di poco tempo, soprattutto se la sua organizzazione comporta modifiche di non poco conto su organici, uffici tecnici, formazione di docenti eccetera». «Si tratta di posizioni prese più per ideologia che per sostanza», racconta, tuttavia, Francesco Malaspina. Malaspina, una vita passata nella scuola, prima come insegnante, poi come preside (in tutti i gradi dell’istruzione) e infine come dirigente, a Milano e provincia, è uno che «non solo queste innovazioni le approvo, ma le ho già fatte». «Tanto per cominciare non c’è nessun allarme sull’organico: è scritto nel testo della riforma», dice, «verrà mantenuto invariato. Per cui questo problema non si pone. Si tratta, semmai, di una grande opportunità per le famiglie, che vengono messe nella condizione di poter scegliere il percorso formativo più adeguato alle esigenze del proprio ragazzo, e per gli studenti, che saranno più motivati. È una sperimentazione, dobbiamo ricordarlo».

 

 

Ossia non è né obbligatoria né generalizzata, gli istituti che ne hanno voluto far parte hanno potuto candidarsi entro il 30 dicembre. «Il nesso insito fra studio e sbocco lavorativo», lamenta ancora la Cgil, «il privilegiamento dei raccordi con il mondo del lavoro e dei contesti produttivi addirittura di livello locale con tutte le attività didattiche che risultano subordinate e funzionalizzate alle istanze formative, disegnano un sistema di istruzione tecnica frammentato e un impianto fuori tempo destinato a rapida obsolescenza». Come a dire, una scuola di serie B. «Non è vero nemmeno questo», continua Malaspina, «a cosa vogliamo tornare? Alle sole lezioni frontali come si faceva nel Novecento? Sono anacronistiche e sono anche fuori dal tempo. Lo stage formativo, a ben vedere, è già previsto dall’ordinamento italiano. E poi», chiosa, «chiariamo il punto una volta per tutte: chi l’ha detto che chi lavora non fa un’attività culturale? Qui si apre una grande opportunità e la scuola fa, dovrebbe fare, proprio questo: insegnare a cogliere le opportunità».

IN CALABRIA
È dello stesso avviso anche Lina Zaccheria. Anche lei ex preside, anche lei ispettore dell’ufficio Scolastico. Non in Lombardia, questa volta, ma in Calabria. Segno che quando c’è una riforma che ha del potenziale, non c’è “regionalizzazione” che tenga. «Questa riforma parla di innovazione», racconta, «e va nella direzione giusta, che è quella di liberarsi di una visione “conservatrice” della scuola, rende gli studenti protagonisti». «L’intento non è quello di farli studiare di meno, ma quello di ottimizzare i tempi di apprendimento e di aprire le strade al mondo del lavoro». Per Zaccheria: «Oggi gli stimoli che i ragazzi hanno consentono di abbassare le distanze e i tempi, i ritmi sono più veloci. L’innovazione fa parte di questo scenario, la riforma del ministro Valditara risponde perfettamente alle sfide della nuova società»

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