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Teatro di Roma, Luca De Fusco: "Gualtieri e Pd volevano poltrone"

Hoara Borselli
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È scoppiata la rivolta nel mondo della politica di sinistra, degli attori e dei registi sempre di sinistra. Il nuovo direttore del teatro di Roma non ha origini comuniste. Apriti cielo. La sinistra aveva candidato due manager dei quali si fidava. Il cda invece ha scelto un regista sospettato di avere idee politiche non antigovernative.

Il nuovo direttore è Luca De Fusco, regista teatrale, napoletano, classe 1957.

 

 

 

Direttore, possiamo dirlo che lei non è di destra?
«Si, possiamo dirlo assolutamente che non sono di destra».
Si è fatto un’idea del perché dei feroci attacchi seguiti alla sua nomina? 
«Io dico sempre che non essendo alla prima nomina, per me parlano i fatti. Ho programmato dieci anni del Teatro Stabile del Veneto, dieci di quello di Napoli e due anni del teatro di Catania. Sfido qualcuno a trovare una programmazione di carattere politico in oltre vent’anni da direttore o una mia foto ad un evento politico».
La politica fuori dai suoi teatri? 
«Ho chiamato grandi registi stranieri come Luis Pasqual, che è la persona che ha riaperto i teatri spagnoli del dopo Franco, chiusi da Franco che riteneva i teatri pericolosi e destabilizzanti. Per gli spagnoli Pasqual è un eroe vivente. Ho fatto fare le ultime regie a Benno Besson che è stato l’ultimo allievo vivente del grande drammaturgo tedesco Bertolt Brecht. Nulla di quello che ho fatto può essere catalogabile politicamente».
Allora perché la sinistra è convinta del contrario? 
«Io non ho mai chiesto ai giovani registi che ho fatto lavorare, e non sono pochi, che cosa votassero. Ho il fondato sospetto che se glielo avessi chiesto mi avrebbero detto che avevano votato a sinistra. Questa polemica è il tentativo di trasformare una cosa che è sempre stata giudicata un difetto, cioè la lottizzazione, in una sorta di bandiera morale. Visto che non sono indicato dal Comune sono automaticamente un reietto».
Pare che il Teatro di Roma spetti necessariamente alla sinistra. 
«Pensavo che essendo automatico il Presidente nel nuovo statuto, fosse scontato che il direttore sarebbe dovuto essere condiviso dalle parti politiche.Dato che non è stato proposto un fascista in camicia nera ma una persona molto sfumata politicamente, mi viene da pensare che il pensiero del Comune fosse che il prescelto dovesse essere espressione del Comune: sia il Presidente che il Direttore».

 

 

 


Dicono che la votazione del consiglio sia irregolare.  
«Non sono un giurista e chiaramente non stavo in cda, però mi è stato detto che lunedì scorso sono stati ascoltati i 3 candidati e si è deciso di sospendere la seduta. Sospesa, non chiusa. Virtualmente era ancora in corso. All’unanimità si è deciso di aggiornarla a sabato mattina aggiungendo all’ordine del giorno la nomina del direttore».
Quindi il fatto che fosse stata sospesa non la invalidava? 
«È come se i due rappresentanti del Comune si fossero alzati durante la seduta e se ne fossero andati via. Come in tutti i consigli d’amministrazione, se c’è il numero legale è valida. E il numero c’era fino alla fine».
Lei si è sentito con il sindaco Gualtieri? 
«Il sindaco Gualtieri l’ho conosciuto mesi fa prima che ci fosse il bando, e gli ho spiegato il perché mi sarei candidato. Abbiamo avuto un incontro breve e cordiale, dopodiché non l’ho più visto».
Lo dice anche a noi perché si è voluto candidare? 
«Io mi sono voluto candidare perché ho diretto sistemi complessi come il Veneto e come Napoli. Quando sono arrivato a Napoli, lo Stabile era il sedicesimo teatro italiano e quando l’ho lasciato era uno dei primi sei teatri nazionali. Conoscendo la situazione dell’Argentina, teatro che ha battuto il record del mondo di teatro senza Direttore, ho avuto voglia di occuparmene».
Teatro senza direttore? 
«Per ben tre anni. Quando lo racconto ad amici francesi, spagnoli e tedeschi, strabuzzano gli occhi perché non si è mai mai sentito in Europa che è un teatro stia senza un direttore per così tanto tempo».
Secondo lei come è potuto accadere? 
«Questa mancanza si deve ovviamente alla maggioranza politica precedente, cui i 5stelle la facevano da padrone insieme alla regione Lazio di Zingaretti».

 

 

 


Una delle accuse che muovono a sinistra è che fosse meglio un manager a gestire un sistema così complesso, piuttosto che un regista. 
«Questa è un’obiezione molto provinciale, tipicamente italiana. Basta leggere l’elenco di tutti i principali teatri europei, francesi e tedeschi, leader in questo campo e il novanta per cento di questi teatri, compreso l’Odeon, sono diretti da registi senza che nessuno abbia mai trovato nulla da ridire. Le dico di più».
Mi dica. 
«Ho diretto il Veneto per 10 anni. Quando sono arrivato aveva solo due città. L’ho lasciato con quattro, aumentando la sua posizione ministeriale. Non solo, ho lasciato la sala leader del teatro Verdi di Padova con il 95% di tasso di occupazione dei posti. Poi sono andato a Napoli dove ho trovato un teatro che era il 16° su 17. Fatturava 4,5 milioni l’anno e contava 2.300 abbonati. Quando l’ho lasciato io era diventato uno dei 6 teatri nazionali più importanti d’Italia con oltre 7mila abbonati. A Catania in due anni ho quasi raddoppiato il bilancio e gli abbonati».
Questo per dirci? 
«Che le mie regie possono piacere o non piacere, ma visto che si dice che non so fare il manager, questi sono i miei numeri».
Mentre noi parliamo i verdi di sinistra hanno diramato questa nota: «Ennesimo atto di squadrismo istituzionale». Cosa risponde? 
«(Ride) Una tale affermazione non merita una risposta seria e allora voglio rassicurare i verdi di sinistra che per fare squadrismo non ho neanche il fisico, sono pigro e non vado in palestra quindi non lo potrei proprio fare».
Tornando seri, lei non pensa che almeno sui temi culturali dovrebbe esserci una convergenza tra sinistra e destra?
«Così dovrebbe essere. In questo dobbiamo imparare molto da Parigi. Dobbiamo superare i pregiudizi e guardare più alla competenza che all’appartenenza».
Ma non crede che forse il suo problema sia proprio stato quello di non essersi espresso politicamente a sinistra?
«È probabile. È assolutamente legittimo dire che al posto di De Fusco ci sarebbe potuto andare Cutaia ma quello che non mi pare fosse più legittimo era rimandare ulteriormente questa decisione che è in ballo da mesi e che era arrivata le ultime gocce possibili. Il 31 gennaio scadevano i termini per presentare la programmazione teatrale dell’anno. Rimandare significava commettere un’irregolarità».

 

 

 


Il sindaco Gualtieri ha dichiarato: «Ci opporremmo in tutte le sedi». Immagino abbia visto la lettera degli attori contro la sua nomina.
«Sì sì, l’ho vista. Io non credo che il ricorso legale che eventualmente farà il Comune possa portare all’annullamento della nomina. Se per assurdo questo annullamento arrivasse, non si potrebbe che convocare nuovamente il consiglio e nulla mi fa pensare che ci sarebbe un esito di votazioni diverso. Invece di vincere 3 a 0 si vincerebbe 3 a 2».
E agli artisti di sinistra cosa risponde?
«Non capisco che cosa debbano temere questi artisti e quale allarme democratico la mia persona possa suscitare. Nella mia lunga esperienza ho fatto lavorare tantissimi artisti che erano marcatamente di area politica di sinistra. A me interessa la qualità degli artisti, non per chi votino».
Cercherà di pacificare o andrà allo scontro?
«Quello che cercherò di fare è pacificare. La pace bisogna volerla in due (ride)».

 

 

 


Il presidente del Cda Siciliano le muove l’accusa rispetto al suo compenso che sarebbe di 150.000 euro ritenendola una cifra esorbitante al confronto dei 68.000 euro che avrebbe percepito a Catania. A Catania non ne percepiva 120 mila?
«Esatto. Anche grazie ai bonus che ho sempre raggiunto».
Sbaglio o l’ultimo direttore del Teatro di Roma senza consulenti, Antonio Calbi, percepiva esattamente 150 mila euro all’anno?
«Non sbaglia».
Allora perché viene sollevata questa polemica dal Presidente?
«Non me lo so spiegare anche perché questi compensi sono i compensi che in media percepiscono tutti i direttori dei più grandi teatri nazionali».

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