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Teatro di Roma, il Pd in tribunale per le poltrone

Roberto Gualtieri

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In Campidoglio i più stretti collaboratori del sindaco sono disperati. Non sanno più come fare a consolare Roberto Gualtieri, che di non essere riuscito a nominare il direttore generale del Teatro di Roma, proprio non se ne fa una ragione. I mugugni e i lamenti che escono dal suo ufficio con vista sui Fori Imperiali, sono strazianti. Almeno fino a ieri quando, a mezzo intervista al Messaggero, siamo venuti a conoscenza del piano per riprendersi quello che gli spetta: andare in tribunale.

Spiega Gualtieri: «Questa vicenda è inaccettabile e grottesca. Faremo tutto quello che è nei nostri poteri. Ed è molto - mette le mani avanti il sindaco -. La sottoscrizione contrattuale non firmata dal presidente Francesco Siciliano, è illegittima e sarà impugnata in sede civile». Poco dopo, però, Gualtieri spiega: «Questa vicenda non deve tramutarsi in una guerra politica. Io non l’ho fatto, sono altri che hanno voluto metterla su un piano diverso».

 

 

E qui il dubbio è inevitabile. A chi si riferisce Gualtieri? Perché a memoria d’uomo la polemica politica sulla nomina di Luca De Fusco non l’ha certo scatenata il centrodestra. Per il sindaco, insomma, questa è solo «una questione procedurale». Nel senso che, rivela il primo cittadino al Messaggero: «Sulla procedura di nomina avevo interloquito con il ministero e delineato un iter condiviso nel merito e nel metodo». Solo che poi quando Regione e ministero hanno scelto un nome non gradito al Comune di Roma, il giochino s’è rotto, e l’occupazione di una poltrona si è trasformata in «un nodo di natura istituzionale», meglio, «una legittima difesa delle prerogative e degli interessi di Roma Capitale» contro «un atto di prepotenza».

Visto che Gualtieri non vuole una guerra politica (anzi, auspica che «l’ottima collaborazione con governo e Regione prosegua»), per distendere un po’ la situazione, detta quella che potrebbe essere la via maestra per uscire da questa impasse: «Voglio sperare che il dottor De Fusco sia sufficientemente responsabile e faccia un passo indietro». Alla faccia della distensione.

La risposta a Gualtieri arriva via agenzia per bocca proprio di De Fusco: «Spero di entrare il prima possibile in teatro e cominciare finalmente a lavorare. Impossibile procrastinare ancora la mia nomina». Questo perché, responsabilità per responsabilità «il Teatro di Roma rischia di non poter accedere ai contributi ministeriali, la cui domanda scade a fine mese». Ad oggi- fa notare De Fusco - è una corsa contro il tempo. Il Teatro di Roma è a rischio sopravvivenza, ma nessuno lo dice».

 

 

De Luca non si scompone per le polemiche di questi giorni, si dice «fiducioso» di ricomporre la situazione, anzi prova a scherzarci su («Con quanto sta accadendo al Teatro di Roma hanno aperto i tg. Nemmeno avessero espugnato Gaza»), prima di ricordare che «con l’allora sindaco di Napoli ho avuto scontri ben più forti, le tensioni erano palpabili. Mi ritengo un uomo fortunato perché il sindaco di Roma Gualtieri e l’assessore alla Cultura Gotor sono due signori. Ne sono convinto - prosegue De Fusco - tutto si ricomporrà. Basta cominciare a parlare di programmi. E sui programmi si troverà un accordo».

A turbare il neo direttore generale della Fondazione Teatro di Roma, non c’è nemmeno la rivolta degli artisti e intellettuali “de’ sinistra”. «Le proteste? Non mi meravigliano. Posso fare un elenco di attori, registi, uomini e donne dello spettacolo, che mi hanno dimostrato solidarietà, che mi hanno scritto di “tenere duro”, potrei stilare una lista altrettanto corposa. Purtroppo - conclude De Fusco - il mondo teatrale italiano è fatto di tribù e io appartengo ad una tribù diversa di quelli che manifestavano l’altra sera. Tutto questo lascia il tempo che trova». Sul fronte politico, va segnalata la lettera firmata dai presidenti di centrosinistra dei Municipi romani per denunciare il «colpo d mano» che desta «sconcerto e preoccupazione». Secca la replica del capogruppo della Lega in Campidoglio, Fabrizio Santori: «La sinistra pretende di piazzare i suoi adepti ovunque», parlando poi di«atteggiamento vergognoso e inaccettabile». 

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