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Autonomia? Il vero disastro è stato il centralismo

Corrado Ocone
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La sinistra scalpita contro il “patto perverso” fra i partiti di governo che avrebbe portato ad approvare al Senato il progetto di autonomia voluto dalla Lega coi voti anche di Fdi, che invece terrebbero di più al “premierato”. Si grida indignati allo “scambio”, dimenticando però che esso è l’essenza della democrazia. Le grandi riforme, ma anche le proposte politiche serie, nascono sempre da una “convergenza di interessi”.

Se una distinzione ha da farsi, è piuttosto quella fra “scambi virtuosi” e non. Anche il “campo largo” della sinistra, se mai nascesse, sarebbe frutto di uno scambio fra le forze politiche, ma in quel caso la convergenza d’interessi sarebbe meramente utilitaristica, ovvero a tenerlo in piedi sarebbe solo la convenienza elettorale. La sintesi ideale non ci sarebbe e già il giorno dopo assisteremmo a divisioni e conflitti interni.

 

 

 

Che il combinato disposto fra il premierato e l’autonomia, fra l’altro previsto nel programma di governo, sia invece una sintesi positiva lo si può desumere ragionando “in negativo”, chiedendosi quali siano i caratteri dell’attuale forma dello Stato che vengono colpiti. Ci si renderà conto che sono proprio i due mali endemici che negli anni hanno reso claudicante la nostra democrazia: una proliferazione di poteri che, lungi dal controllarsi, si ostacolano reciprocamente con poteri di veto; e uno statalismo che tarpale ali a chi vuole vivere e produrre. Dal primo punto di vista c’è un aspetto da considerare: la stessa decretazione d’urgenza, un sistema che mortifica il parlamento e a cui tutti i governi hanno fatto ricorso, nasce paradossalmente proprio per bypassare quell’assemblearismo che il parlamento dice di volere tutelare. Ridare all’esecutivo la sua dignità col premierato significa ridare un ruolo anche alle Camere, in una lineare distinzione delle prerogative e dei compiti reciproci.

 

 

 

Quanto all’autonomia, mostra poi chiaramente il ridicolo cortocircuito mentale a cui vanno incontro tutti coloro che, pur di opporsi al governo, sono disposti a dire “la qualunque”. A criticarla sono gli stessi che affermano che il premierato ci incamminerebbe verso un regime. Di grazia, si è mai visto “un uomo solo al comando” che poi dà autonomia decisionale a governatori e rappresentanti delle regioni? La verità è che c’è un nesso forte che lega i due strumenti con cui la destra al governo si propone, dopo tanti falliti tentativi (fatti anche e soprattutto dalla sinistra), di ridisegnare la forma dello Stato. Questo nesso è la volontà di ridare potere ai cittadini. L’autonomia, ad esempio, risponde a un preciso principio liberale e democratico: il potere decisionale più è di prossimità e più è vicino alle esigenze dei cittadini. Allo Stato vengono affidati invece quei compiti che le regioni da sole non possono adempiere, nonché l’unità simbolica della nazione. Ma anche in questo caso al centro sono i cittadini, che scelgono il capo dell’esecutivo e non hanno da aspettarsi “giochi politici” che capovolgano la volontà del voto. Il premier diventa così il perno decisionale di uno Stato con meno poteri ma più forte, in linea con lo Stato di diritto occidentale. Ovviamente tutto dipenderà dalla capacità di atttuare praticamente quest’idea di Stato, ma non è lecito dire che i principi che dettano la riforma siano non democratici. 

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