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Teatro di Roma, il solito copione: la destra non tiene la scena

Pietro Senaldi
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Commedia all’italiana in scena al Teatro di Roma, una delle più importanti istituzioni culturali cittadine. Una decina di giorni fa il centrodestra ha nominato alla direzione generale Luca De Fusco con il voto della Regione e del ministero. La designazione ha mandato su tutte le furie il Pd capitolino, che ne ha fatto un caso nazionale, gridando all’occupazione di poltrone. Il partito infatti puntava su Onofrio Cutaia, Commissario al Maggio Fiorentino, dove la ditta vorrebbe piazzare Carlo Fuortes, ex ad della Rai in quota dem. Il sindaco Gualtieri e compagni avevano cercato di sabotare la nomina di De Fusco, sospendendo il consiglio di amministrazione e disertando la votazione, ma avevano fatto un buco nell’acqua non essendo la loro presenza numericamente necessaria alla nomina. Il Pd ha attaccato a testa bassa ma si è concentrato solo sul metodo, visto che la qualità e l’esperienza nel settore di De Fusco sono universalmente riconosciute. La nomina era talmente corretta e legittima che, nei giorni scorsi, più di un commentatore d’area progressista, anziché attaccare la destra, ha canzonato la sinistra, rimproverandole di contestare ai rivali ciò che essa fa abitualmente, ritenendo le nomine della cultura un suo diritto naturale.

La notizia ora è che, anziché tenere il punto, la destra ha fatto retromarcia, arrivando a un accordo con la sinistra che prevede la nomina di due direttori, uno per parte, con competenze diverse, una manageriale, da affidare al Campidoglio e l’altra artistica, indicata dal ministero. Naturalmente il Pd, che mentre polemizzava portava avanti parallelamente la trattativa sulle poltrone, raggiunto l’accordo ha cessato di lamentarsi. Scontata è la critica alla solita ipocrisia dem, che mentre grida all’occupazione delle sedie da parte delle destre e alla nuova egemonia culturale si fa in quattro per conservare le proprie.

 

 

Bisogna però riconoscere che a questo giro non ne esce bene neppure il centrodestra, che rimedia la figura di chi fa le pentole ma non i coperchi. De Fusco è un nome valido e non di parte, già direttore con ottimi risultati dei teatri di Napoli e Catania. Se decidi di forzare per nominarlo, devi avere la certezza che la scelta non sia impugnabile a livello amministrativo o giudiziario e la tenuta per resistere alle critiche e alla prevedibile tempesta politica che ne segue. Altrimenti, bruci un uomo valido. Il fatto che poi finisca a tarallucci e vino, aggiungendo un posto a tavola, non fa bene all’istituzione, delegittima i commensali e chi ha servito loro il pasto e procura acidità di stomaco a chi osserva. Sarebbe poi indigeribile che l’accordo porti a una rinuncia dell’indipendente De Fusco e alla nomina di professionisti altrettanto validi ma più di bandiera. 

 

 

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