Cerca
Logo
Cerca
+

Mara Venier, se perfino lei per la sinistra diventa un nemico

Tommaso Montesano
  • a
  • a
  • a

Se l’espressione non fosse fin troppo abusata, sarebbe proprio il caso di dire: il mondo al contrario. Perché è quello che sta accadendo a proposito dell’interminabile 74esima edizione del festival della canzone italiana di Sanremo.


Non sono bastati cinque giorni di gara e uno - la domenica - dedicato alle reazioni e ai commenti. Da ieri sta andando in onda, in Parlamento e sui social network, una sorta di “terzo tempo” della manifestazione canora. Con due soli interpreti soggetti al “televoto” delle opposizioni: l’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, e la conduttrice di Domenica in..., Mara Venier.

 


 

Il primo colpevole, dopo cinque giorni di propaganda filo-palestinese da parte di alcuni artisti in gara - Ghali e Dargen D’Amico - di aver tentato in extremis di riequilibrare quanto accaduto sul palco diffondendo una nota per rinnovare la «solidarietà al popolo di Israele e alla comunità ebraica»; la seconda messa all’indice non solo per aver letto la dichiarazione del suo capo azienda durante il programma che conduce, ma anche per aver stoppato sul nascere il tentativo di un ennesimo pistolotto sull’immigrazione da parte del solito D’Amico (quello con gli occhiali perennemente calzati, per capirci).

 

 


QUANTE OMISSIONI

E qui si arriva al mondo al contrario. Perché non sono bastati cinque giorni di slogan pro Palestina in prima serata, quello «stop al genocidio» scandito da Ghali sabato scorso che fail verso a quanto urlato dalle piazze antagoniste in tutta Italia. Non è bastata la bandiera palestinese apparsa in platea durante l’esibizione di un altro rapper. Non è bastato, mettiamoci pure questo, che Amadeus nel giorno del ricordo dei martiri delle Foibe abbia evitato di pronunciare come opportunamente notato ieri dal presidente del Senato, Ignazio La Russa - la parola «comunista» in relazione ai crimini del regime del maresciallo Tito e, a proposito del Medio Oriente, non abbia trovato il modo di ricordare il dramma degli ostaggi di Hamas dopo lo slogan di Ghali.


A opposizioni e maître à penser della sinistra ora non va neanche bene che Sergio, e di risulta Venier, abbiano cercato di «riequilibrare la situazione», come ha detto Antonio Tajani, ministro degli Esteri. Dopo la nota della Rai - che ha «parzialmente posto riparo a omissioni e attacchi dei giorni precedenti», come sottolineato dal capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri - Sergio è stato raggiunto dalle richieste di dimissioni, e Venier dall’accusa di censura e di aver fatto «da megafono» al massimo dirigente.

 

 


Roberto Saviano, su X, ha definito Sergio incarnazione di un «paese vecchio e pavido (...). Nel suo comunicato non riequilibra, ma censura». Il suo messaggio, sintetizza lo scrittore, «è chiaro: cantate le vostre canzoni, fate i vostri spettacoli e tacete su tutto il resto, altrimenti ne pagherete le conseguenze». «È vero, tutti i partiti hanno sempre lottizzato la Rai. Ma questi livelli “nord-coreani” di censura, e di autocensura, non si erano mai visti. Mai», gli fa eco, sempre sull’ex Twitter, l’ex direttore della Stampa, e ora editorialista di Repubblica, Massimo Giannini con relativo hashtag #TeleMeloni.

Il bello, si fa per dire, è che la questione assume perfino un rilievo parlamentare, con gli esponenti del Pd che siedono in commissione di Vigilanza sulla Rai vergano una nota per censurare, loro sì, Sergio: «Non compete all’amministratore delegato entrare sui contenuti. La libertà di espressione degli artisti è sacrosanta». Il partito di Elly Schlein, lo stesso che aveva manifestato sotto il cavallo di Viale Mazzini la settimana scorsa in nome dell’opposizione a “TeleMeloni”, spara sulla Rai «ormai diventata il megafono del governo di Giorgia Meloni e i suoi vertici sono inevitabilmente schierati. Sergio dovrebbe dimettersi» (Emiliano Fossi, deputato). L’ex Guardasigilli, Andrea Orlando, su Facebook denuncia «l’ottusità censoria che si è sviluppata nelle ultime 48 ore. Imbarazzante». E non poteva mancare la voce di Alessandro Zan, il paladino delle battaglie Lgbtq+, secondo cui quanto avvenuto domenica scorsa è «una pagina nera della Rai».

 

 

 


FUOCO SU MARA

Sandro Ruotolo, ex senatore, ora braccio destro di Schlein per quanto riguarda l’informazione, da una parte accusa Sergio di essere l’autore «di una velina inopportuna e sbagliata», dall’altra se la prende con Venier per aver interrotto Dargen D’Amico sugli immigrati, intervento che «ha il sapore della censura» in una Rai «sempre più al servizio di Palazzo Chigi». In questo i dem vanno a braccetto con Alleanza Verdi Sinistra. Secondo Peppe De Cristofaro, capogruppo a Montecitorio, «in TeleMeloni tira una bruttissima aria, di censura. Sergio dovrebbe dimettersi». 

Dai blog