Cerca
Cerca
+

Giuseppe Valditara, la proposta: "Aiutiamo i migranti con le classi di transizione"

Lorenzo Mottola
  • a
  • a
  • a

«Il bene dei ragazzi deve prevalere rispetto all’ideologia. Oggi tanti studenti immigrati non hanno un futuro: dobbiamo restituirglielo». Farà sicuramente discutere il piano di Giuseppe Valditara. Nel suo ultimo libro – “La Scuola dei talenti” – il ministro dell’Istruzione ha scelto di andare a fondo nel problema dell’istruzione degli immigrati, tra gli istituti di confine, le classi ghetto, i quartieri di Milano e Torino dove l’italiano è una seconda lingua. Un argomento delicato per un politico della Lega. Le strade sono due: chiudere gli occhi, evitando polemiche, o provare a cambiare qualcosa. La sua idea, importare le “classi di transizione” o “di accoglienza” dall’estero, non passerà inosservata.

Per la scuola italiana l’immigrazione è un problema?
«Meglio dire che c’è un problema di integrazione che riguarda gli immigrati di prima generazione. C’è un problema perché l’attuale sistema scolastico penalizza gli studenti stranieri. Sia per quanto riguarda le performance sia per quanto riguarda la dispersione scolastica che secondo l'Istat raggiungerebbe tassi del 30,1%, per i giovani immigrati contro il 9,8% degli studenti italiani. Guardiamo anche ai test Invalsi 2023: in italiano gli immigrati di prima generazione registrano una differenza di rendimento in negativo del 21,9%. In matematica del 13,4%. Su queste materie dobbiamo intervenire».

 

 

 

A quali soluzioni sta pensando, ministro?
«Dobbiamo capire cosa si fa all’estero per trovare delle soluzioni efficaci. Nei paesi dell’Unione Europea esistono tre modelli: in alcune nazioni gli stranieri vengono inseriti direttamente nelle classi ordinarie, in altre gli studenti provenienti dall’estero seguono per un certo periodo un’offerta scolastica distinta (“classi di accoglienza” o “di transizione”). In molti Paesi infine viene utilizzato un approccio combinato tale per cui gli alunni seguono alcune lezioni nella classe ordinaria e altre nell’ambito di un’offerta separata. L’Italia è nel primo gruppo, assieme a Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Germania e Francia hanno un sistema misto-flessibile, cioè si frequenta solo una parte delle lezioni nelle classi ordinarie. Poi ci sono Paesi più rigidi».

La sua idea qual è?
«Ogni scuola dovrebbe verificare all’atto di iscrizione le competenze dei ragazzi immigrati. Dopodiché dovremmo lasciare alle scuole la scelta fra tre percorsi. La prima possibilità ovviamente è quella dell’inserimento tout court nelle classi esistenti, se il tasso di apprendimento della lingua italiana è buono. Se invece ci sono dei deficit molto rilevanti dovremmo pensare a due soluzioni alternative. Il ragazzo straniero viene inserito come tutti in una determinata classe, tuttavia le lezioni di italiano ed eventualmente anche quelle di matematica le frequenta in una classe di accompagnamento con docenti specializzati e una didattica potenziata. L'altra ipotesi potrebbe prevedere di seguire al pomeriggio attività obbligatorie di potenziamento linguistico extracurricolare. Ovviamente prima di introdurre queste soluzioni occorre avviare un confronto ampio, tenendo sempre presente che per noi l’autonomia scolastica è un punto fermo».

 

 

 

Alcuni saranno contrari per principio...
«Perché? Noi vogliamo il bene di questi ragazzi, non siamo affezionati a ideologie astratte. I giovani stranieri continueranno a frequentare con tutti gli altri loro compagni le lezioni di storia, di inglese e così via. I test Invalsi ci dicono per esempio che gli stranieri hanno risultati migliori degli italiani in inglese. Ricordo che all’estero si scelgono percorsi molto più drastici. Penso al modello della Svezia, dove ci sono classi collaterali di accompagnamento per tutte le materie e per periodi prolungati. Lo stesso avviene in Belgio».

Quali sono le tempistiche per questo progetto?
«Stiamo ragionando sull'organico necessario. Gli uffici sono già al lavoro per delineare alcune ipotesi. Intanto ci sono risorse nostre per 85 milioni di euro e risorse del ministero dell’Interno dal fondo Fami (Fondo asilo migrazione integrazione, ndr) che gestiamo noie sono altri 70 milioni di euro. Questa può essere una base di partenza per studiare un progetto realmente inclusivo».

Nonostante ciò qualche critica arriverà.
«Noi vogliamo realizzare una vera integrazione. L'attuale modello scolastico dà una apparente inclusione e non fornisce a questi ragazzi la possibilità di avere un successo formativo. Con i tassi attuali di dispersione scolastica molti di questi giovani non hanno le basi per inserirsi nella nostra società e trovare un lavoro.
L’attuale situazione danneggia inoltre anche gli studenti italiani che vedono rallentato il loro programma formativo dovendo aspettare i tempi di apprendimento di chi non ha alcuna conoscenza della lingua italiana. Dobbiamo decidere se far prevalere l'ideologia o soluzioni realistiche».

In passato si è parlato molto di quote fisse di stranieri per classe: il famoso tetto del 20%. Lei che ne pensa?
«Occorre evitare il più possibile le classi ghetto, l’attuazione dei tetti per classe è stata scarsamente applicata anche per disfunzioni organizzative e per la mancanza degli accordi territoriali per la distribuzione delle iscrizioni fra le varie scuole. Ho chiesto agli uffici di lavorarci».

Nel libro parla anche di baby gang e bullismo, fenomeni che hanno molto in comune con quelli di cui parliamo.
«Laddove un giovane non ha possibilità di avere una istruzione adeguata e ha dunque scarse possibilità di inserimento lavorativo il pericolo di scivolare verso forme di microcriminalità è certamente più elevato».

Cosa prevede per le famiglie dei giovani immigrati?
«Un buon esempio viene da alcuni Länder tedeschi, che hanno introdotto incentivi perchè i genitori frequentino di pomeriggio corsi di lingua nella stessa scuola dove studia il ragazzo. Il rischio è infatti che lo studente una volta a casa torni a parlare la sua lingua originaria disimparando quanto appreso a scuola».

A proposito di violenza, è passata ieri la legge che prevede pene più severe per chi commette atti di violenza nei confronti del personale scolastico. M5S critica: «Non è con la repressione che si sconfigge la violenza». Che ne dice?
«La nostra concezione di scuola, penso per esempio a quanto abbiamo fatto con il decreto Caivano, segue una ricetta molto articolata: prevenzione, inclusione e sanzione, dove le regole non vengano rispettate. Per noi è importante il principio di responsabilità: diritti e doveri. Una società con soli diritti non va da nessuna parte».

 

 

 

Dai blog