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Scuola, i giudizi formano il carattere: il provvedimento di Valditara

Corrado Ocone
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Un emendamento al disegno di legge che inasprisce le norme di condotta a scuola prevede l’abolizione di quegli articolati e incomprensibili giudizi descrittivi che, per volere del secondo governo Conte, tre anni fa avevano sostituito i voti in pagella. Giudizi da stilare secondo le indicazioni delle più viete dottrine psico-pedagogiche in voga nella scuola italiana da qualche decennio.

Quei giudizi saranno ora sostituiti da formule sintetiche equivalenti in qualche modo ai vecchi voti: “ottimo”, “buono”, “insufficiente”, “gravemente insufficiente”. Il Ministro Valditara ha motivato questa decisione insistendo sulla necessità di trasmettere chiarezza soprattutto ai genitori, che hanno il diritto di sapere a che stato dell’apprendimento sono i propri figli. Alla notizia della proposta di legge, la pletora degli insegnanti sedicenti “democratici” ha subito sollevato un polverone, imputando al governo e al ministro di avere una visione “retrograda” dell’insegnamento. Dietro la loro presa di posizione contro i voti in pagella non è difficile leggere una niente affatto innocente concezione della scuola e della realizzazione del suo compito primario, cioè la formazione delle giovani generazioni.

 

 

Per capire quale sia si può prendere spunto dal testo di un appello che alcuni pedagogisti hanno diffuso contro quello che hanno definito un pericoloso “ritorno al passato”. In esso si parla infatti esplicitamente dell’ansia che i voti genererebbero ai piccoli. Le domande che però i firmatari non si pongono sono almeno due: se quell’ansia sia produttiva o meno di effetti positivi, da una parte; se sia auspicabile o meno (ammesso e non concesso che sia possibile) immunizzare i giovani dalla realtà rinchiudendoli in un mondo ovattato e sicuro che non crei contraccolpi emotivi su di loro, dall’altra.

MONDO IPERPROTETTO - Non è che le esperienze negative vissute nell’infanzia, e oltre, con la forza anche evocativa che hanno, servono a responsabilizzare i giovani facendoli uscire poco alla volta dal mondo iperprotetto in cui sono vissuti? Questo affrancamento non servirà loro ad affrontare tutti i mali del mondo che la realtà implacabile porrà loro davanti in futuro? Non sono domande peregrine perché la pedagogia classica occidentale, che oggi si vorrebbe buttare nel cestino, si è sempre retta su questi presupposti.

È vero che la formazione del giovane non deve limitarsi solo all’istruzione, cioè alla trasmissione del sapere, ma deve essere anche educazione. Quest’ultima, tuttavia, non può essere concepita come un indottrinamento ai buoni (e ipocriti) sentimenti della cultura woke, come oggi pure si tende a fare.

FINE PIÙ ALTO - L’educazione deve invece mirare a un fine molto più alto: la formazione di un carattere, ovvero (come si diceva un tempo) di una tempra di uomo. Capisco che questo è un discorso impopolare, soprattutto in un tempo in cui si tende a colpevolizzare i docenti che fanno il proprio mestiere e si concepisce il mestiere di genitore come quello di un badante pronto a difendere i figli a prescindere. Il fatto è che però, in questo discorso, ne va di mezzo il bene più prezioso che ogni individuo ha: la libertà. La quale è rischio, da una parte, e responsabilità, dall’altra.

 

 

La libertà non è qualcosa che ci viene data o concessa, ma va conquistata con il coraggio, l’intraprendenza, la messa in conto del fallimento. E quel tipo di educazione che si vuole abbandonare mirava a creare proprio uomini con queste doti, pronti a difendere la libertà nei momenti in cui è in pericolo (cioè quasi sempre). Che il liberalismo abbia avuto la sua stagione migliore nella vecchia Inghilterra è del tutto disgiunto dalla rigorosa severità delle scuole di élite di quel Paese, dalla durezza dei processi di formazione a cui le future classi dirigenti venivano sottoposte? D’altronde, per imparare a nuotare non c’è altro modo che superare la paura e buttarsi in acqua. Ne avranno la forza individui iperprotetti e garantiti? La libertà è però anche responsabilità, la quale si acquisisce se per i tuoi errori non sei giustificato, ma giudicato. Come diceva il vecchio Croce, a farci responsabili è proprio la società. Ritorno al passato? Assolutamente no. Sarebbe folle e addirittura ingiusto ripristinare vecchie pratiche di un mondo che non c’è più e che non va rimpianto (si racconta che nei vecchi college inglesi la mattina si usasse fare la doccia fredda, mentre nelle nostre scuole gli insegnanti usavano addirittura le bacchette di legno per punire i più discoli). Quel che si vuole qui dire è che nella scuola un minimo di autorità e severità sono necessarie perché uomini liberi non si è, ma si diventa. 

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